La politica italiana di questo inizio 2021 si lega a due volti: quello di Mario Draghi, e non potrebbe essere altrimenti, e quello di Matteo Renzi, sempre al centro di vicende di politica sia italiana che internazionale.
Per il senatore di Italia Viva l’anno era cominciato bene: la caduta del Conte II e la conseguente elezione dell’ex presidente della BCE come presidente del Consiglio sono state per lui due vittorie.
Dopo aver aperto la crisi di governo, infatti, Renzi è riuscito a collocare un ministro, un viceministro e un sottosegretario di Italia Viva nel nuovo governo, guidato da quello stesso Draghi che aveva elogiato nella lettera del 16 dicembre a Conte.
Ma oggi la vera questione è un’altra. Sicuramente, tutt’altro che una vittoria per l’ex sindaco di Firenze.
Il 28 gennaio Renzi si trova a Riyadh, in Arabia Saudita, per partecipare ad un’iniziativa della Future Investment Iniziative Institute, una fondazione controllata dalla famiglia reale saudita.
Renzi, prendendo parte al comitato consultivo dell’organismo, guadagna fino a 80 mila euro l’anno. Questo ha immediatamente scatenato le polemiche, in primo luogo perché Renzi, pur ricoprendo attualmente la carica di senatore della Repubblica italiana, offre consulenze ad un altro Paese, e in secondo luogo perché si tratta dell’Arabia Saudita, un paese in cui vige un governo poco democratico.
Renzi non ha violato alcuna legge, è vero, ma solo perché in Italia ancora non è stato introdotto un codice di condotta che regoli il comportamento dei senatori, richiesto dal Consiglio d’Europa fin dal 1997. Alla Camera invece nel 2014 è stato approvato un codice, per cui se un deputato, come Maria Elena Boschi o Ivan Scalfarotto, fosse andato in Arabia Saudita o in un qualsiasi altro Paese ad offrire consulenze sarebbe stato processato.
Inoltre hanno destato scalpore alcune affermazioni del senatore di Italia Viva: “Penso che l’Arabia Saudita potrebbe essere il luogo di un nuovo Rinascimento per il futuro” e anche “Non posso parlare del costo del lavoro a Riyadh perché come italiano sono molto invidioso”.
Effettivamente il costo del lavoro in Arabia Saudita è molto più basso che in Italia, non tanto per quanto riguarda i cittadini sauditi, ma in particolare per gli stranieri (il 76% impiegato nel settore privato).
La manodopera straniera, infatti, guadagna in media un quinto di un autoctono e non può licenziarsi e cambiare lavoro senza il consenso del datore di lavoro; non ha la possibilità né di aderire ad un sindacato né di scioperare (se non rischiando la pena di 4 mesi di carcere e la condanna a 300 frustate, come accadde nel gennaio 2017 a 49 immigrati). Oltre a ciò, secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International, “Le autorità hanno concesso a centinaia di migliaia di cittadini stranieri il diritto al lavoro e all’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria, ma hanno arrestato e deportato centinaia di migliaia di lavoratori migranti irregolari, esposti ad abusi sul lavoro e sfruttamento da parte dei datori di lavoro e torture quando erano detenuti dallo Stato”. Questa è la condizione, forse non tanto invidiabile, dei lavoratori in Arabia Saudita, il luogo che Renzi identifica come la possibile culla del “nuovo Rinascimento”.
Dopo qualche giorno le discussioni sono andate scemando, ma sono riesplose più forti di prima quando è stato diffuso il rapporto della CIA sull’omicidio Khashoggi, dove si legge che “Il principe saudita Mohammed bin Salman approvò l’operazione di Istanbul, in Turchia, per catturare o uccidere il giornalista saudita Jamal Khashoggi”. Renzi a questo punto non ha potuto evitare di esprimersi a riguardo, evitando accuratamente una conferenza stampa e preferendo rilasciare le sue dichiarazione attraverso un’auto-intervista.
Così il senatore di Italia Viva ha cercato di chiarire l’intricata vicenda, ma lo ha fatto senza nominare mai né il principe ereditario Bin Salman né gli 80 mila euro da lui percepiti, continuando comunque a sostenere che intrattenere rapporti con l’Arabia Saudita “Non solo è giusto, ma è anche necessario”, prendendo ad esempio il presidente Biden. Naturalmente è fuor di dubbio che questo sia necessario, il problema è che a farlo dovrebbe essere il capo di Stato, non un senatore con consulenze retribuite.
A cura di Matteo Cirillo
Ricco di informazioni oggettive ed inconfutabili, é molto piacevole e scorrevole. Bel pezzo. Bravo Matteo