Presidenziali americane: tutto quello che c’è da sapere

Alle 7 di domattina, mercoledì 4 novembre, l’Alaska sarà l’ultimo dei cinquanta Stati americani a chiudere i seggi per le elezioni presidenziali. No, questo non significa per forza che ci sveglieremo conoscendo il nome del prossimo presidente degli Stati Uniti: potrebbe essere così, ma potrebbe pure essere che passeranno diverse ore, giorni o addirittura settimane prima che la vittoria di uno tra Trump e Biden venga confermata. Dipende.

Quest’anno quasi cento milioni di statunitensi hanno scelto di votare in anticipo, e molti dei voti espressi per posta non arriveranno prima di alcuni giorni. In Pennsylvania – uno di quegli Stati in bilico in cui Trump deve vincere per essere rieletto – le schede verranno contate fino al 6 Novembre; in North Carolina, fino al 12.

Detto questo, ai democratici basterebbe vincere in Texas – dove i seggi chiuderanno stanotte alle 3 – per assicurarsi la presidenza; ma anche un successo in uno Stato come la Georgia, l’Ohio o la Florida chiuderebbe virtualmente la competizione elettorale in favore di Biden. Eppure, se Trump non si dimostrasse così indietro come dicono molti sondaggi, l’assegnazione dei Grandi Elettori potrebbe procedere assai più lentamente. E noi potremmo non sapere il nome del prossimo presidente prima di alcune settimane.

Abbiamo parlato di Stati in bilico, di Grandi Elettori e di competizione elettorale: se non ci avete capito nulla, tranquilli. Con la consapevolezza che in queste elezioni niente è sicuro, facciamo un passo indietro.
 

L’ultimo discorso di Biden prima dell’Election Day a Pitssburgh, Pennslyvania.
 
Come si elegge il Presidente degli Stati Uniti
Quattro anni fa, nel 2016, Hillary Clinton ottenne tre milioni di voti in più rispetto a Donald Trump. Nonostante questo, il tycoon newyorkese riuscì comunque a diventare Presidente. Per comprendere questo punto è necessario spiegare brevemente come funziona il sistema elettorale americano.

Il Presidente, negli Stati Uniti, non viene eletto in base alla maggioranza del voto popolare, ma alla maggioranza dei Grandi Elettori. I Grandi Elettori sono dei delegati assegnati ad ogni stato federale proporzionalmente alla popolazione. La California, che è lo stato federale più popoloso, ha 55 Grandi Elettori, mentre il Kansas ne ha solo 6. Per vincere tutti i delegati di uno stato è necessario ottenere il 50% +1 dei voti. In poche parole, anche se un candidato prende solo un voto in più rispetto all’altro, ottiene tutti i Grandi Elettori di quello stato. Il totale di Grandi Elettori di tutti e 50 gli stati federali è 538. Per diventare Presidente bisogna vincerne 270. Qui è possibile consultare una mappa interattiva del Collegio Elettorale (ossia l’insieme di tutti i Grandi Elettori).

Questo sistema fu elaborato dai Padri Fondatori per non permettere agli stati più popolosi, come New York, la California o il Texas, di decidere da soli le sorti delle elezioni, permettendo anche ai territori meno popolosi di poter contare nel risultato finale. 

Oggi molti stati federali, per ragioni storiche e culturali, sono per natura o democratici o repubblicani. La California è democratica, il Wyoming è repubblicano. Il risultato delle elezioni si decide dunque in quegli stati che non hanno una collocazione precisa, ma che cambiano in base al periodo. Questi stati vengono normalmente chiamati swing states o battleground states, e costituiscono il vero ago della bilancia nell’elezione del Presidente. È qui che si concentrano i maggiori sforzi delle campagne elettorali. Quest’anno gli stati maggiormente in bilico sono la Florida, la Pennsylvania, il Michigan, l’Arizona, l’Ohio
 

Ah, e questo è lo spot di Trump rivolto agli ispanici. Di loro ne abbiamo parlato nello scorso numero.
 
E se non ci dovesse essere una vittoria netta?
Trump ha affermato più volte, in caso di sconfitta, di non essere sicuro di accettare il risultato delle elezioni. Infatti, se Biden dovesse uscire vincitore con un risultato più o meno equilibrato, Trump potrebbe contestare il verdetto finale e, attraverso delle procedure legali, portando di fatto l’elezione in tribunale, generare uno stato di incertezza che si prolungherebbe per settimane. Questo scenario è particolarmente temuto dalla leadership democratica in quanto la Corte Suprema, ovvero l’organo giudiziario in cui si discuterebbe di tale dinamica, è controllato per la maggior parte dai repubblicani. Su nove giudici della Corte, infatti, sei sono conservatori, e quindi tendenzialmente più propensi ad aiutare Trump. 

Al contrario, qualora la vittoria dei democratici si rivelasse netta (quindi vincendo nella maggior parte degli stati in bilico), allora per i repubblicani sarebbe decisamente più complicato opporsi al risultato. E’ comunque probabile che Trump possa contestarlo, declamando un immaginario broglio generale, ma resterebbe una polemica fine a se stessa. 

A cura di Tommaso Becchi e Luca Parisi

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