Vincenzo Cardarelli nasce nel 1887 a Tarquinia, e trascorre la sua infanzia “in una terra che è tutta una miniera di sepolcreti”. Il retaggio funebre del mondo etrusco grava sul piccolo Cardarelli, quasi segnandone, già in tenera età, la sua natura inquieta e malinconica, che lo avrebbe portato a una vita di vagabondaggi. Sempre alla ricerca di un posto dove piantare radici, dove potersi fermare ed essere accolto, Cardarelli trova asilo a Roma, dove muore nel 1959.
L’indole solitaria certo non gli aveva impedito di godere di una certa fama: contro ogni aspettativa, ad esempio, aveva vinto il premio Strega nel 1948 per il libro Villa tarantola. Ma la sua vita, e quindi, di riflesso, la sua opera, risentono di un sostanziale sentimento di alienazione ed emarginazione. La lirica qui riportata è il manifesto di una poetica e di un’esistenza. L’io come un gabbiano, la vita come la superficie dell’acqua. E poi la chiusura con l’immagine finale della “burrasca”, presagio di inquietudine, di pioggia, vento e fulmini.
Tra le poche, profonde relazioni che Cardarelli era riuscito a intessere in vita, va ricordata quella con Sibilla Aleramo, scrittrice femminista e tormentata, di una decina d’anni più grande di lui. Entrambi letterati in continuo movimento, “in perpetuo volo”.
Una poesia:
Gabbiani
Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
Un libro: Vincenzo Cardarelli, Opere, Milano, Mondadori, 1990
A cura di Federico Spagna