Pandemia a scuola: tante domande e poche risposte

 Questo articolo fa parte del numero 23 del MichePost, uscito in formato cartaceo il 30 ottobre 2020


Devo essere sincera: non capisco. La mia mente- aperta- dal- classico non riesce proprio a comprendere. E, onestamente, la cosa mi dà parecchio fastidio. Sto interrogando me e voi sulle decisioni prese dal Governo riguardo alla scuola.

Per ricapitolare, questo è tutto ciò che studenti, professori, famiglie e personale ATA hanno trascorso negli ultimi mesi. Il 5 marzo 2020 ogni istituto scolastico italiano viene chiuso. Nelle settimane successive si dibatte spesso sulla riapertura, dando date che poi non saranno rispettate e finendo per scegliere di riparlarne a settembre. Durante l’estate, una grande e accesa discussione anima la Penisola: come si tornerà a scuola? I trasporti pubblici reggeranno? E i banchi, gli orari, le aule piccole, le classi pollaio? A queste domande si risponde con pochissima chiarezza, lasciando carta pressoché bianca ai presidi, che dovranno valutare i provvedimenti da portare avanti a seconda dell’istituto loro affidato. Le linee guida sono le solite, quelle che ormai conosciamo bene, ma i dubbi continuano a imperversare: distanziamento sociale (e allora lo scontro fra metro statico e metro dinamico), mascherine (anche quando si è fermi al banco? Una al giorno, poi si deve cambiare? Non si è ancora capito), igiene delle mani (quella, almeno, ci riesce abbastanza bene). Inoltre si aggiungono tutte le problematiche legate al tipico andamento di una giornata scolastica: la ricreazione, l’educazione fisica, le attività pomeridiane, l’ingresso e l’uscita, ma anche l’utilizzo di gessi e lavagna, i compiti in classe, lo stazionamento nei corridoi, lo scambio di libri e altro materiale. Ogni istituto fa un po’ a modo suo, e devo ammettere che il nostro non è assolutamente fra i peggiori. Tornando alla legislazione, vengono emessi il cosiddetto “Decreto Agosto”, approvato recentemente, che, insieme al Decreto Rilancio, stanzia oltre tre miliardi di euro per la ripresa delle attività didattiche (e quindi l’affitto e/o l’adeguamento degli spazi, l’acquisto di dispositivi di sicurezza, l’assunzione di nuovo personale…) e il decreto-legge del giorno 8 settembre 2020, che, fra le altre cose, tratta anche del “congedo straordinario per i genitori durante il periodo di quarantena obbligatoria del figlio convivente per contatti scolastici”. Finalmente il 14 settembre (o il 7, o il 16, o il 22, o il 24, a seconda della regione) si torna a scuola. Fra i primi contagi e casi di classi in quarantena, il primo mese passa e la tanto nominata curva inizia a rialzarsi. Il 18 ottobre, data dell’ultimo DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), sono stati contati 11705 nuovi infettati, 69 decessi e 9032 guariti, oltre che 559 ricoverati, di cui 45 in terapia intensiva, e 146541 tamponi analizzati. Per contrastare l’inesorabile avanzata del virus, il Governo si impegna a sfornare un nuovo decreto almeno una volta a settimana. Quello citato, il DPCM 18 ottobre 2020, modifica le regole dando la facoltà di chiudere strade e piazze dove si possano creare assembramenti, vietando la pratica di sport di contatto dilettantistici, sagre e fiere, convegni e congressi. Inoltre inseverisce le norme per le attività di ristorazione e incrementa “il contact tracing attraverso l’utilizzo dell’App Immuni”. Le Università e le Istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica devono predisporre “piani di organizzazione della didattica e delle attività curricolari in presenza e a distanza in funzione delle esigenze formative”. Riguardo alla scuola superiore di secondo grado, si scrive che debba adottare “forme flessibili dell’attività didattica” tramite la DDI (Didattica Digitale Integrata, il nuovo nome della DAD), comunque complementare alle ore in aula, lo scaglionamento degli orari di uscita ed entrata, che deve avvenire dopo le 9:00 ed eventuali turni pomeridiani. Del giorno successivo è la nota 1896 del Ministero dell’Istruzione che specifica che tali cambiamenti devono essere attuati solo ed esclusivamente in casi particolari di emergenza. Insomma, una grande selva di provvedimenti e legislazioni, che si contraddicono e contrappongono fra loro e alla fine non dicono niente. Mentre a bar e gelaterie vengono dati precisi orari e numeri da rispettare, alle scuole toccano una cheerleader di nome Azzolina e articoli di legge inconcludenti. Nonostante le ingenti quantità di denaro stanziate, gli spazi sono per lo più rimasti cadenti e troppo piccoli, i banchi per ora non sono arrivati, le mascherine promesse solo qualche giorno fa, con grande ritardo. Il timone della nave della didattica è stato lasciato ai presidi, gli unici, fra coloro che dovrebbero guidare la scuola, ad aver dimostrato un po’ di buon senso.

Dopo tutta questa spiegazione, le mie domande non si sono chiarite del tutto. Soprattutto una mi viene spesso in mente: perché allo Stato importa più del calcio, dei ristoranti e delle discoteche che del suo futuro, la scuola?

A cura di Elisa Salvadori

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