In America, occhio agli Ispanici

 Questo articolo fa parte del numero 23 del MichePost, uscito in formato cartaceo il 30 ottobre 2020


Nel 2000, l’Ufficio del censimento contava sul territorio statunitense circa 35 milioni di ispanici. Nel 2019, il loro numero ha superato i 60 milioni, arrivando a rappresentare il 18,5% dell’intera popolazione.

Una crescita incredibile. Di questo passo, si stima che i latinos raggiungeranno i 100 milioni già intorno al 2050. Negli Stati Uniti, soltanto la comunità asiatica cresce a ritmi simili. E, comunque, l’incremento demografico degli ispanici rimane unico nel suo genere: mentre gli asiatici aumentano principalmente grazie all’immigrazione, lo sviluppo dei latinos è conseguenza per lo più di una crescita naturale (nascono più bambini, in breve). E attenzione: il buon tasso di crescita naturale è più di una semplice caratteristica degli ispanici; è il motivo che giustifica la loro età media di appena 30 anni, di otto anni più bassa rispetto a quella nazionale.

Nonostante la sua importanza a livello demografico, storicamente la minoranza ispanica non ha mai avuto un reale peso politico. Nel 2000, meno della metà dei latinos aventi diritto al voto si era iscritta alle liste degli elettori, e degli iscritti votò soltanto il 79%. Risultato? Meno di 6 milioni di voti in un’elezione a cui hanno partecipato 105 milioni di cittadini. Molto, molto poco per una minoranza così grande.

Eppure, negli ultimi anni la tendenza sta cambiando. Nelle elezioni di midterm del 2018 – quelle nelle quali si votano vari membri del Congresso e alcuni governatori – l’affluenza degli ispanici è raddoppiata rispetto a quattro anni prima. A partire da quegli Stati dove è più forte, la minoranza ispanica sta iniziando a farsi sentire. In California, ufficializzata la candidatura della senatrice Harris alla vicepresidenza, i cittadini ispanici hanno iniziato a pressare il governatore Newsom affinché, nel caso i democratici vincessero, venga scelto un ispanico come suo sostituto. Sarebbe la prima volta che la California, uno Stato ispanico al 40%, sceglie un senatore di origini latine.

Insomma: dopo decenni di inerzia, sembra che qualcosa stia cambiando davvero tra gli ispanici. I democratici puntano ovviamente a riceverne il consenso in toto, vista la chiara posizione che negli anni il partito ha assunto su temi come il razzismo interno o l’immigrazione. La realtà, però, è ben più complessa. Intanto, bisogna considerare che la provenienza dei latinos è molto diversificata, dunque non ci si può aspettare che essi diano tutti il voto allo stesso candidato soltanto per via delle loro più o meno lontane origini comuni. Poi, i dati sono chiari: nel 2016 Trump, repubblicano e non proprio moderato, ha preso il 28% dei voti ispanici. Quindi: è vero, oggi i latinos sono più vicini al Partito democratico che a quello repubblicano. Ma non è tutto. Infatti, il loro impatto sulle dinamiche elettorali dei prossimi anni – quando saranno decine di milioni di più – non sembra per niente sicuro: dipende in larga parte dal peso che attribuiranno alle proprie origini. Uno studio del Pew Research Center del 2017 ha rilevato che metà dei latinos di quarta generazione si considera ormai soltanto statunitense.

Saranno gli ispanici a cambiare l’America o sarà l’America a cambiare gli ispanici? Presto per dirlo. Intanto, il 3 Novembre negli Stati Uniti si vota per le presidenziali: già allora, conoscendone il risultato, sarà possibile dire qualcosa in più. 

A cura di Tommaso Becchi

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