Sono circa le cinque postmeridiane di giovedì 17 agosto. Siamo in Spagna, a Barcellona, una città cosmopolita, che dell’integrazione e dell’immigrazione ha fatto un punto di forza. È una splendida giornata estiva, ferragosto è appena stato festeggiato, e turisti di trentaquattro nazionalità diverse affollano uno dei luoghi¬–simbolo della città: La Rambla. Si tratta di un lungo viale alberato di un chilometro e quattrocento metri, che collega Plaça de Catalunya con il porto antico. Una strada emblematica, gremita di caffè, bar, ristoranti, bancarelle, animata da brillanti artisti di strada.
Un furgone bianco inizia ad attraversare il viale. Poi, improvvisamente, come in un film dell’orrore, accelera, raggiungendo i novanta chilometri orari. E falcia violentemente i passanti. Grida, urla, terrore. Seicento metri, dura la corsa, poi il van si schianta contro un chiosco. Molti non ce la fanno. Fra questi, tre connazionali: Bruno Gulotta di Legnano, 35 anni, sposato con figli; Luca Russo, ingegnere, che era con la fidanzata, rimasta ferita ma soprattutto sola; Carmen Lopardo, 80 anni, italo–argentina originaria di Potenza. E un bambino di tre anni, che era lì con i genitori e aveva tutta la vita davanti.
Alla fine il bilancio è terribile: 14 morti e oltre 100 feriti, molti dei quali in gravi condizioni. Fra quest’ultimi vi sono anche quattro italiani. Interviene la polizia, arrivano autombulanze e vigili del fuoco. A tutti viene intimato di rimanere chiusi in casa. Molti chiedono asilo in bar e ristoranti. La Rambla, il luogo più frequentato di Barcellona, viene chiuso al pubblico.
Il comandante della polizia catalana Josep Lluis Trapero dichiara: “Stavano preparando attacchi più grandi”.
Alle otto postmeridiane arriva dall’agenzia Amaq la rivendicazione dell’Isis: “I responsabili dell’attacco terroristico a Barcellona sono soldati dello stato islamico”.
Il terrore, in città, è palpabile. Lo percepisco dalla voce di un mio caro amico di Pistoia che proprio quella mattina si trovava sulla Rambla, a Barcellona.
Eppure, non è finita qui. Siamo a cento chilometri a sud di Barcellona, a Cambrils. Si tratta di una località marittima in provincia di Tarragona che affaccia sulla costa Daurada. È notte, più precisamente l’una antimeridiana. Eppure, è estate e molti turisti, ancora, attraversano il lungomare, illuminato dai locali aperti la notte, dai molti bar e gelaterie, vivacizzato da molti ristoranti con tavolini all’aperto.
Un Audi A3 si scaglia sui presenti. Dopodiché quattro terroristi, quelli di Barcellona, scendono dall’automobile e si mettono ad accoltellare e a sparare sulla folla. Hanno tra i 17 e i 20 anni, eppure sparano, uccidono in nome di Allah. Grazie al celere arrivo della polizia si evita il massacro. C’è una sparatoria, poi i quattro terroristi sono freddati. Indossavano cinture esplosive. Verso le quattro del mattino arrivano gli artificieri e gli ordigni si rivelano falsi.
Intanto a Barcellona vengono arrestate quattro persone, ritenute coinvolte nell’attentato.
Tre complici sono ancora in fuga, tra cui il ricercatissimo Moussa Oukabir, capo dell’operazione jihadista. Già, Moussa, un ragazzo come noi, di diciassette anni, che frequentava la scuola con buoni voti, giocava a calcio e faceva il baby–sitter. Lo chiamavano “il bambino”. Il bambino era un terrorista. A soli 15 anni, su Twitter rispondeva alla domanda: “Cosa faresti se fossi il re del mondo?”, “Ucciderei tutti gli infedeli e lascerei in vita solo i musulmani che seguono i precetti”.
Intanto la città non si ferma. Gli abitanti di Barcellona tornano in piazza per dire “no tinc por”, non ho paura. La Rambla è luogo del cordoglio: candele, fiori e immagini, ma soprattutto lacrime. La manifestazione si tiene alla presenza delle autorità, del primo ministro Mariano Rajoy e del re Filippo VI.
Eppure il nostro ministro dell’Interno Minniti ha posto una domanda. Una domanda spiazzante, agghiacciante nella possibile risposta, che mette in crisi molte delle nostre convinzioni. Non ne darò un’interpretazione, mi limiterò a riportarla, facendovi prima notare una sola cosa. La Rambla è il luogo più frequentato di Barcellona, si trova in pieno centro ed equivale, con tutte le dovute differenze, a via Cavour a Firenze, che si irradia a partire da Piazza Duomo. Ebbene, dice Minniti: “Come mai la Rambla e la piazza non erano sorvegliate da nessuno?”
A cura di Matteo Abriani