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Intervista a Stefania Saccardi, assessore alla sanità della Toscana

Stefania Saccardi è assessore al diritto alla salute, al welfare e all’integrazione socio-sanitaria per la Regione Toscana. Dal 2013 al 2015 è stata vicepresidente della Regione Toscana.

Una domanda di rito: come ha vissuto i mesi dell’emergenza?

«È stata un’esperienza di grande sofferenza, ma ho anche imparato molte cose. Ci siamo trovati davanti a un nemico sconosciuto, che non sapevamo affrontare e che ci ha messi alla prova. Ci è stato richiesto un impegno costante per riorganizzare il sistema sanitario, così da far fronte ai bisogni primari: dall’ampliamento delle terapie intensive fino alla protezione degli ospedali, che poi era l’obiettivo principale. Dall’esperienza lombarda, infatti, abbiamo imparato che gli ospedali sarebbero potuti diventare luoghi di contagio ancor prima che di cura. Per questo, abbiamo istituito una centrale operativa per distribuire i vari malati, in modo che gli ospedali non andassero in saturazione di posti letto. Al contempo, abbiamo più che raddoppiato le terapie intensive recuperando altre sale operatorie, e siamo stati la prima regione a creare gli alberghi sanitari, dove i malati potessero passare la quarantena senza infettare i familiari. C’è stato inoltre un forte impatto emotivo, nel sentire il bollettino a fine giornata, nell’ascoltare le storie di persone che hanno visto l’ultima volta i propri cari su un’ambulanza, per poi ritrovarli già cremati in una cassetta».

Prima ha citato il modello Lombardia: come crede che la Toscana, a differenza della Lombardia, si sia relazionata con l’emergenza?

«La gente può valutarlo da sola. Aggiungo solo che noi abbiamo avuto la fortuna e la capacità di non dover scegliere chi curare e chi no».

E poi in Lombardia hanno una sanità prevalentemente privata…

«Io credo che abbia pesato anche questo: una sanità privata non investe su posti ad alto costo come possono essere le terapie intensive, problema che il sistema pubblico non ha. In Toscana poi abbiamo degli ospedali nuovi come quelli di Prato, Pistoia, Lucca e Massa, che ci hanno consentito di modulare gli spazi in maniera molto più efficiente. E se gli ospedali non erano proprio nuovi, erano comunque modernizzati, come quelli di Careggi e Santa Maria Nuova. Certo è che quando abbiamo contattato la sanità privata, in una fase più avanzata dell’emergenza, abbiamo ottenuto prontamente delle risposte. Anche le nostre RSA hanno risposto meglio all’emergenza che quelle lombarde: in Toscana, su 320 RSA solo 13 sono state commissariate».

Si è parlato spesso e si parla tuttora della famosa seconda ondata: quali sono gli strumenti con cui intende affrontarla? è possibile evitare una chiusura totale?

«È indispensabile provare ad evitare una chiusura totale. Il Paese uscirebbe economicamente devastato da un altro lockdown. Adesso abbiamo strumenti che all’inizio dell’emergenza non avevamo, abbiamo procedure più rapide cui sottoporre le persone, dai tamponi ai test sierologici. La regola per il futuro è quella delle “3 T”: testare, tracciare, trattare. L’obiettivo sarà anche far ripartire l’attività ospedaliera di sempre parallelamente alla gestione dei casi di Covid. Cercheremo di evitare i numerosi ricoveri di anziani che ci sono sempre, ogni anno, per le complicanze legate all’influenza. Anche i bambini, comunque, nella fascia di età 0-6, hanno una grande probabilità di contrarre malattie».

Peraltro ora i bambini più piccoli sono stati mandati a scuola senza l’obbligo di mettere le mascherine.

«Ieri abbiamo fatto una delibera per la ripresa della scuola in cui consigliamo a insegnanti e agli alunni, sia sopra sia sotto i sei anni, di indossare la mascherina. Ci prepariamo così all’eventuale seconda ondata. Dopo di che, oltre alle misure che noi mettiamo in piedi, ci vuole la responsabilità di ogni individuo, questo è evidente».

Il nostro istituto ha diffuso pochi giorni fa le norme di comportamento da seguire a scuola. Come si spiega che fino a poco fa non sapevamo nemmeno se avrebbero riaperto le scuole? Perché le linee guida del Ministero, a cui ogni istituto deve fare riferimento, sono arrivate così tardi?

«Bella domanda. L’unica persona che ti può rispondere si chiama Azzolina, non Saccardi. Anche in Regione abbiamo fatto fatica, perché le linee guida sono arrivate sia tardi, e non il primo luglio come avrei preferito, sia frammentate. Lo trovo sbagliato: secondo me si doveva cominciare subito a pensare alle scuole, invece che alle discoteche».

Cosa ne pensa della riforma sul taglio dei parlamentari?

«Io voto no. Si mette mano alla Costituzione solo per una riforma seria. Non ho nulla contro la diminuzione dei parlamentari, se questo si inserisce in una riforma che consente lo snellimento delle procedure e la riorganizzazione del procedimento normativo. Ho votato sì al referendum costituzionale precedente, che prevedeva il taglio dei parlamentari, ma nell’ambito di una diversa organizzazione del percorso normativo. La riforma attuale è uno spot populista che, a mio parere, aumenterà i tempi di passaggio fra commissioni, diminuirà la capacità di rappresentanza dei territori, darà l’immagine di un Parlamento fatto solo di sfaticati. Le operazioni che, come questa, gettano discredito sulle istituzioni non sono mai costruttive per la democrazia di un Paese. Inoltre, questo referendum parla alla pancia delle persone, non alla loro testa. Chiedendo alla gente “Volete mandare a casa trecento parlamentari?” non le sollecitiamo una valutazione razionale approfondita, non la si educa alla complessità delle valutazioni, ma la si spinge a una reazione emozionale senza darle gli strumenti per poter capire di cosa si parla. La vittoria del sì non porterebbe nessun reale beneficio, servirebbe solo a far esultare il M5S».

Intervista a cura di Emma Ester Barugolo e Federico Spagna

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