Carpe diem

Caro amico che vivi lontano,

noi non condividiamo praticamente niente. Siamo fisicamente molto diversi, non parliamo la stessa lingua e indossiamo l’abito di un passato che non abbiamo scelto ma di cui siamo comunque fieri portatori. Ma se c’è una cosa che ci accomuna, questa cosa è la vita. Io che ti scrivo sono vivo e tu che leggi sei vivo.

Strana è l’interpretazione che diamo della vita. Non so da te, ma qui da noi la vita è vista come una cosa importante, almeno da quando, in un tempo remoto, si sono accorti che prima o poi finisce. Eppure, a centinaia di migliaia di anni da questa agghiacciante rivelazione, tendiamo a sprecarla, come se, in fondo, non fosse una cosa così importante. Siamo abitudinari, tendiamo a fare sempre le stesse cose, alienati, senza volontà, ma sospinti da uno strano influsso meccanico.

Siamo praticamente giunti ad una non-vita. Eppure abbiamo paura della morte. Bizzarro, visto che la non-vita è il reale contrario della morte. Come disse un nostro pensatore illustre, Oscar Wilde: “Vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste, ecco tutto”.

E pensare che nel nostro passato meravigliosi poeti, filosofi, politici… dissero che dovevamo cogliere l’attimo (carpe diem), che dovevamo vivere la vita al massimo senza sprofondare nella grigiosità di un’esistenza sonnambula, alienata, triste. Seneca disse: “La vita è come una commedia: non importa quanto è lunga, ma come è recitata”. Ed aveva ragione.

Allora perché oggi nessuno si affida più a questi giganti del pensiero, a questi veri paladini della vita?

Strana è l’interpretazione che diamo della vita.

Tentiamo di mantenere in vita un essere umano in stato vegetativo, ci affanniamo a cercare sempre nuove soluzioni, attraverso l’ingegneria genetica e le nuove frontiere della medicina, per allungare la vita a dismisura. Come se la vita cessasse quando smettiamo di respirare, quando il cuore smettere di battere.

No, la vita finisce quando smettiamo di sognare, quando ci rinchiudiamo in una compassionevole apatia, quando arrestiamo crescita e miglioramento, quando smettiamo di dare valore alle cose, quando diventiamo freddi e distanti, quando ci rassegniamo alla monotonia della nostra esistenza, quando per evitare di cadere rimaniamo a terra e ci perdiamo tutto quello di bello che ci poteva essere lassù, quando anteponiamo alla nostra serenità ansie o paure.

Siamo avidi di soldi, di terre, di beni, ma regaliamo senza problemi il nostro tempo a sconosciuti o a persone che non sono davvero importanti per noi, quando la sostanza di cui la vita è fatta, come ricordava Benjamin Franklin, è proprio il tempo.

Un film che rendeva bene questa idea di stampo stoico (vedi Seneca, De brevitate vitae) è il recentissimo In Time di Andrew Niccol, così come un libro che trasmette bene tale concetto è Momo di Michael Ende, e in particolar modo le figure dei Signori Grigi, che lavorano per la famigerata Banca del Tempo.

E adesso passiamo ad un consiglio pratico. Non so come faccia tu, amico mio, ma per sfuggire a questa dilagante apatia il mio consiglio, quello che applico io (o cerco di applicare io) tutti giorni, consiste nel cambiare.

Cambiamo, cambiamo, cambiamo! Partiamo dalle piccole cose. E’ il particolare che fa l’Universale. Durante una settimana facciamo sette colazioni diverse, sette strade per andare a lavoro diverse, incontriamo sette nuove persone, leggiamo sette articoli su argomenti completamente diversi, scriviamo sette pensieri diversi, mangiamo sette cose diverse… e cerchiamo di vivere ogni attimo che ci rimane sulla nostra pelle, in modo lucido, penetrante, intenso. Come disse qualcuno: “la vita non è un problema da risolvere, ma un mistero da vivere!”. Cerchiamo di rendere memorabile ogni tessera del puzzle, poiché il mosaico non potrà mai risultare grandioso se le tessere che lo compongono sono tutte uguali.

E allora diamoci alla gioia o soffriamo atrocemente, corriamo, saltiamo, cerchiamo di essere noi stessi, sogniamo, pensiamo, amiamo…perché “del doman non v’è certezza.”

A cura di Matteo Abriani

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