Trump: cosa è stato e cosa sarà

Quando uscì la notizia di uno studio dell’università di Losanna secondo cui una ‘elevata intelligenza’ è incompatibile con l’essere leader, un sito americano titolò ironicamente “Buone notizie per te, Donald”. Sono molte le decisioni discutibili prese da Trump, e bastano poche certe sue dichiarazioni per trovare delle verità nello studio svizzero sulle personalità al potere. Ma prima è bene ripercorrere questi tre anni di governo Trump.

L’ascesa di Donald
Trump è entrato nel mondo della politica senza dover fare troppo baccano. Del resto, un cameo in “Mamma ho riperso l’aereo”, una partecipazione ad un incontro di wrestling, la conduzione di un programma tutto suo e una non poca dose di frasi sessiste ne hanno fatto un uomo celebre oltreoceano. Trump ha aggiunto alla sua aura pop circa 300 proposte politiche che hanno fatto leva sulle esasperazioni della classe media statunitense: ad esempio, ha dichiarato che sarebbe stato “il più grande presidente del lavoro che Dio abbia mai mandato sulla Terra”, che avrebbe, già nel suo primo giorno di presidenza, cominciato a espellere gli immigrati clandestini, che avrebbe combattuto la Cina in difesa del “Made in USA”. Così è riuscito a sconfiggere la sua rivale democratica, Hillary Clinton. Certo non è la prima volta che gli americani scelgono come presidente un attore, un uomo di spettacolo. In effetti, Trump ha saputo recitare in questi anni un lungo copione di fake news: circa 15.000, secondo il “Washington Post”. Tra le più eclatanti c’è quella secondo cui la vittoria di Trump sia stata la più grande dai tempi di Reagan. Un giornalista gli ha fatto notare che Obama e Bush avevano preso più voti di lui, e Donald ha replicato “Così mi hanno detto”. È un esempio cristallino dello strano e conflittuale rapporto tra Donald Trump e la realtà dei fatti, tra il presidente degli Stati Uniti e la fattibilità e plausibilità di ogni cosa che dica (si veda quando Trump ha proposto di distruggere gli uragani coi missili nucleari). Quando invece Donald ha agito, spesso è diventata plausibile un’ingiustizia. Mi riferisco all’autorizzazione da parte di Trump di costruire un oleodotto (il Dakota Access Pipeline) in alcune zone del Midwest considerate sacre dagli indiani d’America, che hanno protestato sia per non essere stati chiamati in causa nella decisione sia per l’eventuale inquinamento da petrolio del fiume Missouri. Come non parlare poi del folle muro che Trump ha continuato a costruire a confine col Messico (ricordo che già nel 1990, durante la presidenza di George H. W. Bush, era iniziata la costruzione). Muro su cui Sartre, nell’omonimo racconto, ha proiettato la crudeltà dell’uomo, Muro che divide Israele e Palestina, Muro che adesso è una ferita nel continente americano. E Trump ha addirittura dichiarato che l’opera (se così si può chiamare) sarebbe stata interamente pagata dal Messico, come promesso nella campagna elettorale.

Un modo di far politica così ‘muscolare’ (per usare un termine del giornalista Alessandro Gilioli), così inutilmente violento è la cifra stilistica del politicante odierno, che così, gettando spesso fumo negli occhi dell’elettorato, rafforza le proprie posizioni nazionaliste e isolazioniste, esattamente come sta facendo Trump. Da ranger del mondo a fortino chiuso in se stesso: ecco cosa sta pianificando Donald per gli Stati Uniti.

L’Impero americano ai tempi di Donald
“Can we get like ‘Gone with the Wind’ back, please?” Questa è stata la reazione di Donald Trump alla vittoria agli Oscar di Parasite come ‘Miglior film’. Questo perché la pellicola diretta da Bong Joon-ho è in lingua coreana. In ogni cosa che dice, Trump rimarca lo slogan ‘America first’ e tutto l’inutile nazionalismo che ne consegue, tanto da criticare l’Academy in base alla sola provenienza dell’opera, ignorando dunque in maniera superficiale la sua valenza artistica. Se l’esterofobia del presidente degli Stati Uniti si limitasse a questo, non sarei qua a scrivere de ‘L’Impero americano ai tempi di Donald’, perché certamente l’impronta di Trump sulla politica estera è stata ed è peculiare. Come il suo predecessore Obama, Donald è un giorno un guerrafondaio e l’altro un pacifista. E se Obama è stato insignito del particolare premio Nobel per la pace che si vince coi bombardamenti, anche Trump potrebbe ambire al prestigioso premio svedese, in virtù del suo impegno in campo internazionale. Ha fatto passi avanti nella questione arabo-israeliana, tentando di far cessare le ostilità con la brillante idea di riconoscere come capitale Gerusalemme e di spostarvi l’ambasciata statunitense, il 6 dicembre 2017, facendo un generoso regalo di Natale a Benjamin Netanyahu. Ha cercato da sempre di dividere l’Europa sostenendo i leader nazionalisti (uno su tutti Boris Johnson) e poter così crearsi un varco per tendere la mano al dittatore russo Vladimir Putin, per ringraziarlo di averlo aiutato a diventare presidente e per proporgli un’alleanza anticinese. Ha proseguito i bombardamenti in Siria, da cui ha ritirato recentemente le proprie truppe per lasciar via libera ai Turchi nell’attacco contro i Curdi. Infine, ha ordinato l’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani, causando una profonda crisi diplomatica che ha paralizzato il globo per una settimana. Potrebbe mettere in pericolo la vittoria del premio Nobel il fatto che Donald si sia in qualche modo riappacificato col dittatore nordcoreano Kim Jong Un, dopo un anno di scontri su chi possedesse il missile più grosso e potente.

I meriti di Donald
Tuttavia Trump, oltre a (non) garantire la pace, ha anche altri meriti. Ad esempio, ha bloccato la riforma della sanità pubblica iniziata da Obama, un sistema di assistenza fondamentale che in Europa non è messo minimamente in discussione, come d’altronde dovrebbe essere in ogni paese civile. Ha annullato una legge che puniva le discriminazioni sugli studenti e sui lavoratori transgender, chiedendo addirittura che venisse consentito il licenziamento di una persona transgender solamente per via del suo orientamento sessuale. Poi ha abbassato le tasse dal 35 % al 21 %, ma per le grandi corporazioni. Infine, come già annunciato nel 2017, ha ufficializzato l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi per il clima, prevista per il 4 novembre 2020. In questo modo gli USA saranno liberi dai vincoli dell’accordo per la riduzione delle emissioni di CO₂.

Ora Donald è vicino alla fine del mandato. Nel ripercorrere questi quattro anni di governo, ho notato che in fondo Trump ha disfatto tutto ciò che gli si è presentato davanti. Ha rovinato i rapporti con Messico e Cina, ha fomentato le ostilità in Medio Oriente, ha distrutto gli importanti passi avanti nell’acquisizione dei diritti civili che Obama aveva fatto durante la sua presidenza. Per riconfermarsi, Trump avrà bisogno di qualcosa di più delle fake news che lo hanno portato alla ribalta politica alla fine del 2016. Dalle macerie di questo prima mandato, Donald dovrà riottenere il consenso degli statunitensi, che attualmente si aggira a poco meno del 50%.

In fondo all’autostrada del 2020 intravedo il nuovo presidente. E usando le parole di Jack Kerouac, dico: “Dove vai, tu, America, la notte, nella tua macchina scintillante?”.

A cura di Federico Spagna

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