Tutte le contraddizioni del nucleare in Europa

 Questo articolo fa parte del numero 26 del MichePost, uscito in formato cartaceo il 10 dicembre 2021


Un gruppo di 10 Stati europei, guidati dalla Francia, ha ufficialmente chiesto alla Commissione Europea di riconoscere l’energia nucleare come fonte a basso impatto, in maniera tale che questa possa inclusa nei piani dell’Unione Europea per la transizione ecologica.

Il marzo scorso l’UE ha presentato un documento, “Tassonomia per le attività sostenibili”, il quale è una sorta di classificazione delle attività green; dentro ognuna di esse sono indicate delle linee guida che, se rispettate, attestano la sostenibilità di ogni determinata attività. Ciò serve a evitare il cosiddetto green washing, il fenomeno sempre più presente che riguarda il far finta che una cosa sia sostenibile anche se in realtà non lo è affatto, solo per ottenere ulteriori guadagni. Esso è utile a guidare gli investimenti privati, che più facilmente arrivano in un campo, o livello, dove l’Unione Europea è disposta a spendere. Dentro la “Tassonomia” c’è un po’ di tutto: per quanto riguarda il comparto energia si parla di quella solare, quella eolica e quella geotermica; ma c’è anche un grande assente: il nucleare. A oggi l’Unione Europea non è disposta a riconoscere il nucleare come fonte sostenibile, questo perché il dibattito è ancora aperto.

I contrari (tra i quali Greenpeace) si concentrano sulla possibilità di incappare in un potenziale disastro, rievocando Chernobyl e Fukushima, e si focalizzano sui lunghi tempi e costi di costruzione degli impianti. I favorevoli sostengono invece che le centrali, una volta avviate, producono una grande quantità di energia e non sono dipendenti da risorse limitate, inoltre i reattori hanno un impatto di CO2 quasi pari a zero.

Come detto, la Francia guida l’assalto, insieme a Finlandia, Polonia, Croazia, Romania, Repubblica Ceca, Slovenia, Bulgaria e Slovacchia. Questi sono tutti Paesi che nella loro dieta energetica hanno già una buona parte di  nucleare (o la stanno per inserire, come la Polonia). La loro tesi, sostenuta da Macron, che si prepara alla prossima campagna elettorale, è però quella della necessità di doversi liberare dalla dipendenza del gas naturale russo e raggiungere un’indipendenza energetica europea, soprattutto adesso che il prezzo del gas sta schizzando alle stelle. Il discorso è abbastanza cinico: “io spingo affinché un’energia dove già investo venga sostenuta dall’Europa”.

La controparte però non è meglio. gli oppositori sono guidati dall’altra grande potenza dell’Europa: la Germania. Quest’ultima, con il supporto di Merkel, ha iniziato un processo di de-nuclearizzazione da raggiungere entro il 2022. E infatti, insieme ad Austria, Danimarca, Lussemburgo e Spagna, guida il fronte anti-nuclearista. Si tratta anche però una scelta politica: la Germania riceve una grande fornitura di gas naturale dalla Russia, tanto che la Merkel ha avviato un progetto enorme e costosissimo riguardante l’ampliamento del gasdotto Nord Stream 2, che collega la Russia e la Germania, attraverso il Baltico (sotto anche la pressione di Putin). Questo progetto è ostacolato da tutti coloro che vorrebbero ridurre la dipendenza europea dal gas russo.

Addirittura, tornando alla “Tassonomia per le attività sostenibili”, Bernan Berswall, persona preposta dall’SPD (partito socialista tedesco) a parlare di ambiente, negli ultimi giorni ha addirittura proposto di classificare il gas naturale tra le energie rinnovabili, opinione da cui l’SPD si è subito dissociato.

Questa è l’ennesima conferma che in questo gioco c’entra anche la politica: la transizione ecologica non sarà senza costi, quindi ogni Paese cerca di ammortizzare i costi e trarne un guadagno, deviando l’opinione pubblica verso le fonti di energia già presenti nei vari Paesi.

A cura di Giacomo Sottocornola

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