Anno all’estero, intervista a due studentesse

Dalla mia personale curiosità, dalla passione per le lingue e per le culture del mondo, e dalla voglia di approfondire il tema dell’anno all’estero, è nata l’idea di intervistare due studentesse della classe quinta della nostra scuola che hanno vissuto questa esperienza due anni fa, all’età di 17 anni: Sustika è partita per gli Stati Uniti e Agnese per l’Inghilterra. 

Ho posto loro alcune domande e spero che le risposte e i consigli che mi hanno dato possano essere d’aiuto a chi vorrebbe vivere un’esperienza nuova e formativa. 

Perché hai deciso di andare all’estero? È stata una scelta autonoma?

Sustika: Pensavo che potesse essere un’esperienza molto valida per la mia vita. Ero venuta a conoscenza di altri ragazzi della scuola che avevano trascorso l’anno all’estero e ho pensato che sarebbe stata una grande opportunità anche per me.

Agnese: Avevo desiderio di fare un’esperienza all’estero diversa dalla classica vacanza studio estiva, ma l’idea di frequentare un semestre scolastico in Inghilterra è partita da mia madre.

Come hai vissuto questa esperienza? Ha influito su di te e nel tuo approccio alla scuola e alla vita in generale? 

Sustika: È stata un’esperienza piuttosto unica sia nel bene che nel male, in ogni caso ha contribuito ad ampliare la mia visione sul mondo e su me stessa. Infatti mi ha dato modo di vivere e conoscere una società completamente diversa dalla mia, oltre che di permettermi di incontrare persone davvero speciali. 

Agnese: È stata un’esperienza ricca e positiva, fatta di alti e bassi, perché non sempre è facile vivere in un Paese totalmente diverso dal proprio. Sicuramente mi ha aiutato a contare più su me stessa e ad essere autonoma. Non penso abbia influito particolarmente nel mio approccio alla scuola, ma mi ha dato l’opportunità di studiare materie diverse dal solito, come psicologia o economia.

Che livello di conoscenza linguistica bisogna avere per fare questa esperienza?

Sustika: A mio avviso il livello linguistico è su un piano secondario, non soltanto perché l’obiettivo è imparare la lingua, ma anche perché quest’esperienza dovrebbe formare gli studenti dal punto di vista umano e di crescita personale. Ovviamente se si ha un buon livello si parte avvantaggiati ed è più semplice interagire con le persone. 

Agnese: Non credo sia necessario un particolare livello di inglese, ma ovviamente più uno è abile nella lingua più sarà facile affrontare l’esperienza, soprattutto nel primo periodo.

Qual è l’organizzazione che ha pianificato lo scambio? La consiglieresti?

Sustika: Education First (EF). Non saprei dire se sia la migliore ma personalmente mi sono trovata abbastanza bene, anche se non è stata sempre presente e rapida nella risoluzione dei problemi che ho riscontrato durante la mia esperienza.  

Agnese: Interstudio Viaggi, non ho avuto particolari problemi, anzi si sono sempre mostrati disponibili ad ogni mia richiesta, dunque la consiglio assolutamente.

Hai avuto modo di confrontarti con una realtà diversa da quella a cui sei abituata? Fai un confronto (scuola, cultura, abitudini).  

Sustika: Io sono stata a Sioux City, in Iowa. Mi sono ritrovata in una società completamente diversa, però non ho avuto molta difficoltà ad adattarmi a quella nuova vita: era tutto enorme (i centri commerciali, le macchine, le persone, le porzioni) e gli orari davvero insoliti (scuola alle 7:50, pranzo alle 11:00 o alle 3:00, cena alle 5:00). Ho frequentato una scuola molto grande e davvero multietnica, perché la società americana, per quanto le distinzioni sociali e culturali siano predominanti, accoglie una vasta gamma di persone di diverse nazionalità. 

Il sistema scolastico americano è organizzato in modo tale da mettere al centro la vita di ogni studente: vengono proposte moltissime attività sia prima dell’inizio delle lezioni che nel pomeriggio. Inoltre lo sport è essenziale ed è anche il punto di unione per gli studenti. Proprio per dare loro modo di partecipare alle varie attività, il carico di lavoro da fare a casa è pressoché inesistente; inoltre, molti degli studenti lavorano e i professori ne tengono conto. Per questo però la preparazione degli studenti a livello scolastico è un po’ scadente. 

Agnese: Sono andata a Exeter, nel Devon. A livello scolastico era tutto diverso: in primis le materie erano molte meno, potevano essere scelte dai singoli studenti e anche l’approccio alle stesse era diverso rispetto ai metodi a cui sono abituata. Non esistevano interrogazioni e anche la suddivisione dell’orario scolastico era molto diversa. Per quanto riguarda le abitudini mi hanno soprattutto sconvolta gli orari dei pasti, in particolare durante le prime settimane.

Come si svolgeva la giornata tipo?

Sustika: Solitamente andavo a scuola e poi rimanevo a fare le attività pomeridiane (cultural club, cross country etc.), poi, tornata a casa, passavo il tempo con la mia host mom e la mia host sister. 

Agnese: Ogni giorno era diverso in quanto l’orario scolastico non era uguale per tutti, ma personalizzato per ogni studente. In generale le lezioni erano comprese tra le 9 e le 16:30, con almeno una pausa pranzo. Potevano esserci anche altre ore libere che ognuno poteva passare come più preferiva (facendo un giro in centro, stando con gli amici o studiando nelle biblioteche). Ogni lezione durava un’ora e mezzo circa e avevo un quarto d’ora di tempo per cambiare aula. Il mio college non era una struttura unica ma era diviso in vari edifici a seconda del tipo di materia, dunque spesso dovevo attraversare la città e fare molta strada per raggiungere la lezione successiva. Una volta finita la scuola c’era anche la possibilità di frequentare corsi extracurriculari o club.

Come hai gestito gli impegni della scuola in Italia? 

Sustika: Purtroppo è stato difficile rimanere in pari con le materie, ma chiedevo gli appunti alle mie compagne e ho cercato di recuperare, per quanto possibile, un mese prima di tornare a scuola, quando ancora ero in America.

Agnese: Ho provato a conciliare il più possibile lo studio tra le due scuole per cercare di non restare troppo indietro con il programma italiano, in particolare con quello di greco e latino, seguendo dal registro elettronico gli argomenti che venivano svolti in classe.

In riferimento al carico di lavoro (ore settimanali di lezione, materiale da studiare, compiti a casa) come giudichi quello della scuola che hai frequentato? Più o meno impegnativo rispetto a ciò a cui eri abituata in Italia?

Sustika: Nella mia scuola americana il carico di lavora era nettamente inferiore rispetto a quella italiana, oltre che essere davvero semplice. Io comunque studiavo molto non tanto per la difficoltà, quanto perché tutto era in inglese.

Agnese: Avevo molti più compiti scritti e progetti da portare a termine, ma il carico di studio era sicuramente minore. Le lezioni erano in numero minore ma molto più lunghe e si estendevano durante tutta la giornata, quindi era comunque un orario impegnativo.

Volendo tirare le somme cosa la scuola italiana dovrebbe imparare dalle scuole straniere? E cosa la scuola estera da quella italiana?

Sustika: Secondo me la scuola italiana dovrebbe mettere più al centro la vita dello studente offrendo attività, stimolando l’alunno a partecipare agli eventi scolastici e a farlo sentire parte integrante della scuola. Invece la scuola americana dovrebbe formare meglio gli studenti dando loro una base culturale solida. Inoltre, nella scuola americana era tutto molto digitalizzato e raramente gli studenti usavano i libri; se questo da un lato rispecchia una società tecnologicamente avanzata, dall’altro danneggia il metodo di apprendimento. 

Agnese: Credo che la scuola italiana a livello di studio e di approfondimento delle materie sia molto più impegnativa, mentre la scuola inglese abbia un approccio più moderno e pratico. A mio parere l’ideale sarebbe una compenetrazione tra i due sistemi.

Consiglieresti questa esperienza? Perché? 

Sustika: È stata davvero un’esperienza unica, quindi la consiglio vivamente a tutti perché dà allo studente la possibilità di completare la sua formazione in campo sociale, culturale e personale. Per quanto sia difficile mettersi in gioco (sopportando la lontananza da casa, adattandosi ad una nuova società, costruendo nuove amicizie, superando la barriera linguistica etc.) è una sfida incredibilmente piena di sorprese.

Agnese: Sì, assolutamente. È un’esperienza che, oltre ad incrementare notevolmente le tue conoscenze linguistiche, ti dà l’opportunità di conoscere culture diverse, di creare amicizie con persone provenienti da tutto il mondo e di arricchirti come persona.

A cura di Giada Giordano

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