Per non dimenticare – Intervista ad Alessandro Rigacci e Niccolò Gottardo sul progetto “Treno della memoria”

Il MichePost ha avuto l’onore, nonché il piacere, di intervistare due nostri coetanei che hanno avuto la possibilità, con altri nostri nove compagni, di recarsi ad Auschwitz con il treno della memoria, per ricordare le vicende che sono avvenute durante l’olocausto e sulle quali il cuore e la mente molto spesso hanno paura a rivivere, poiché sono state teatro di fatti indicibili ed atroci.

Ma credo che adesso sarebbe meglio lasciare la parola ad Alessandro Rigacci e Niccolò Gottardo per avere una loro opinione su quanto visto e vissuto sul treno della memoria che li ha condotti fino ad Auschwitz.

Avevi già visitato in precedenza un campo di concentramento e/o di sterminio?

ALESSANDRO RIGACCI e NICCOLÒ GOTTARDO: Sinceramente no.

Sai il nome o dove si trova il campo di sterminio e concentramento sul quale si è basato il modello di quelli successivi?

A. R e N. G.: Nelle riunioni di preparazione fatte con gli esperti e con gli altri ragazzi abbiamo parlato a lungo, come del resto durante il viaggio, e ci è stato riferito che come primo campo, propriamente detto di concentramento, è stato definito quello di Dachau, instituito nel 1933, anche se al momento è difficile ricordare di preciso dove si trovi.

Pensi che vi sia stata un’evoluzione per arrivare allo sterminio di massa mediante il gas?

A. R. Con il Professore che ci ha accompagnato abbiamo analizzato soprattutto il fatto che questa sia stata definita “Soluzione Finale”, quindi sia stata la soluzione, perdonami il gioco di parole, che è stata trova appunto alla fine, per porre fine a ciò che dai Nazisti veniva definito il “Problema” interno allo stato; la prima soluzione, infatti, di chiudere gli ebrei dentro i ghetti, per poi trasferirli dalla Germania, mandandoli perfino in Madagascar, non era stata così efficace, mentre l’uccisione per soffocamento era stata più semplice e più veloce rispetto a farli morire per altre cause.

N. G.: Allora è noto che il Consiglio costituito dagli alti gerarchi tedeschi ha deliberato per la “Soluzione finale” ed è altrettanto noto che una delle prime idee fu anche quella di deportare gli ebrei in Madagascar e, per rispondere alla tua domanda, sì, ritengo che vi sia stata un’evoluzione forse anche riproposta su un modello di genocidio poco noto come quello armeno, perpetrato dai Turchi, in cui se non erro si ha il primo utilizzo delle camere a gas.

Chi pensi abbia contribuito allo sviluppo della “Soluzione finale”?

A. R.: Sulle basi di ciò che abbiamo potuto apprendere penso che un Consiglio costituito dagli alti gerarchi tedeschi si sia riunito ed abbia deliberato come agire e non credo affatto che sia stata una decisione presa da un singolo, ma che piuttosto abbia influito la presenza di persone del calibro di Himmler o altri.

N. G.: Sicuramente tra chi l’ha, per così dire, “progettata” vi è Himmler anche per l’importanza che aveva all’interno del “Consiglio” di Hitler e mi sembra che ebbe un’importanza altrettanto rilevante anche Göring.

Potreste dirci il nome ed il tipo di unità impiegate nei campi di concentramento e di sterminio?

A. R. e N. G.: So che le unità impiegate erano le SS, ma il nome specifico è difficile da ricordare.

Potreste spiegare la differenza tra campo di concentramento e di sterminio?

A. R. e N. G.: Certamente, i campi di concentramento sono stati anche i primi ad essere instituiti a livello storico e prevedevano all’arrivo dei deportati la loro sistemazione in baracche dalle quali uscivano per lavorare e perciò prevedevano anche la presenza dei campi di lavoro; mentre per campi di sterminio si intendono invece i luoghi costruiti appositamente per sterminare chi veniva deportato, per cui vi era anche la famosa scelta tra abili al lavoro, che equivaleva alla sopravvivenza, e chi invece non lo era e che quindi doveva essere ucciso subito.

Potreste descrivere il campo di concentramento di Auschwitz?

A. R. e N. G: Auschwitz 1 è il primo campo istituito in un ex caserma della cavalleria polacca, per cui ha gli edifici alti due piani e tutti in muratura ed è uno spazio di pochi ettari; perciò, pur vedendo il filo spinato, è molto differente da un campo di concentramento, anzi oserei dire che potrebbe ricordare una cittadina. Per farmi capire dal pubblico è il campo con la scritta in tedesco Arbeit macht fre  “il lavoro rende liberi”. Mentre Auschwitz 2 o Birkenau è il vero e proprio campo di sterminio costruito anche dagli stessi deportati e che è completamente diverso dal precedente; i prigionieri, infatti, vivevano in baracche di legno e quindi un materiale che, secondo me, dà più incertezza a livello di abitabilità e poi è immenso. Entrati dalla cosiddetta “porta della morte” non si riesce a vedere la fine del campo, ma solo le baracche in legno e le camere a gas dove arrivano le rotaie. In questo campo, inoltre, il freddo e la nebbia in generale, secondo il mio parere, opprimono di più rispetto ad Auschwitz 1. Mentre Auschwitz 3 chiamato anche Monowitz, non lo abbiamo potuto visitare, dato che, come è noto, è stato distrutto interamente dai tedeschi da una parte per cancellare gli orrori da loro compiuti durante la guerra, dall’altra per distruggere le industrie belliche da cui era costituito.

Potreste spiegare cosa sia il treno della memoria?

A. R. e N. G.: è un’iniziativa regionale e la Toscana è stata la prima Regione ad istituire il Treno della Memoria ideato da Ugo Caffaz, che abbiamo avuto il piacere di intervistare in treno.

Nato per ricordare e rievocare, ai 600 ragazzi coinvolti questo anno, il viaggio che veniva fatto fare ai deportati da Firenze fino ad Auschwitz e che, sebbene il percorso sia svolto in meno tempo ossia un giorno anziché tre o quattro come lo facevano i prigionieri, ha uno scopo didattico e, infatti, già all’arrivo inizia la rievocazione portando subito i ragazzi al campo di Birkenau, così come succedeva ai deportati in quegli anni.

Sareste in grado di spiegare la differenza di trattamento dei prigionieri tra uomini, donne, bambini ed anziani ad Auschwitz?

A. R. e N. G.: ci hanno fatto vedere come ad un certo punto il vagone del treno si fermasse a metà campo dove avveniva una cernita, operata dalle SS e da alcuni dottori come ad esempio Josef Mengele, che consisteva nello stabilire subito chi non fosse abile al lavoro, perciò compresi vecchi e bambini circa ¾ delle persone, e facendo sì che restassero sul treno e venissero mandati subito nelle camere a gas appena scesi dal treno. Mentre il restante ¼ dei prigionieri, ritenuto abile al lavoro, andava nelle baracche. Un diverso trattamento era invece riservato ai bambini, che venivano selezionati da Mengele, soprattutto gemelli omozigoti o siamesi, e che venivano impiegati per condurre esperimenti pseudo scientifici.

Credi che debbano essere condannati anche i campi di prigionia alleati ed i Gulag sovietici?

A. R.: Assolutamente sì, dato che nel caso dei Gulag credo sia quasi ridicolo non considerarli alla pari dei campi di concentramento nazisti, poiché in determinati campi di sterminio sono stati commessi altrettanti abomini e inoltre occorre ricordare che, ad esempio ad Auschwitz, la temperatura minima era di -10°C e quindi certamente piuttosto freddo, ma mai quanto nei Gulag in cui nella migliore delle ipotesi si arrivava a -40°C. Poi, da quanto ne so io, i Gulag a differenza degli altri non sono mai stati progettati come campi di sterminio, sebbene siano stati usati come tali e come campi di concentramento o di prigionia. Non so dirti nulla sui campi di prigionia alleati, poiché purtroppo non ne sono al corrente.

N. G.: sì, dato che mi sembra incoerente condannare i Tedeschi per le loro azioni e non condannare i sovietici per i Gulag, anche se il fine con il quale agivano i nazisti era ben diverso da quello dei Gulag. Sui campi alleati purtroppo non so quasi nulla.

Come ti poni nei confronti della “difesa” dei gerarchi nazisti e soprattutto delle SS ossia “[…] aver solo eseguito degli ordini […]” effettuata durante il celeberrimo Processo di Norimberga nel 1946?

A. R.: per rispondere a ciò devo fare un paragone con la storia di Mimmo Lucano ovvero va bene eseguire gli ordini, ma se si sfocia nel disumano bisognerebbe anche far intervenire la propria coscienza. Certo se i soldati tedeschi avessero disubbidito agli ordini, sarebbero stati uccisi, per cui è probabile che abbiano pensato al proprio interesse prima che a quello altrui; sebbene avessero piena fiducia nel Führer, ciò non giustifica simili atti.

N. G.: Io parto dal presupposto che essendo uno scout e come tale devo rispettare una legge nella quale uno degli articoli recita: “[…] sanno obbedire […]”, ritengo che questa giustificazione non sia valida in quanto ogni uomo è libero di poter fare la propria scelta e i soldati tedeschi potevano scegliere se ubbidire o meno. Certo non obbedire equivaleva alla morte, ma se il motivo per cui lo hanno fatto è solo obbedire penso che potevano ponderare meglio se fosse stata più importante la loro vita o quella di milioni di persone.

Potreste descrivere che cosa avete fatto durante il ritorno in treno?

A. R. e N. G.: all’andata vi erano varie discussioni di 30 minuti o 1h in cui potevamo informarci su alcuni aspetti dei campi; in particolare noi, come gruppo, avevamo deciso di informarci sulla deportazione dei Rom e dei Sinti, per cui abbiamo assistito ad una chiacchierata con alcuni di questi esponenti che riguardava sia il passato che l’attualità. Al ritorno invece abbiamo intervistato dei ragazzi e dei testimoni anche Toscani per un progetto che abbiamo come gruppo relativo all’assemblea del 25 febbraio dove vi aspettiamo numerosi.

Quale aspetto del campo ha lasciato in te un segno profondo?

A. R.: Per me è stata l’atmosfera spettrale. Quando sono partito pensavo che i capelli tagliati o le camere a gas mi avrebbero impressionato, ma così non è stato; mentre mi ha fatto molto più riflettere l’impressione che ho avuto da quell’atmosfera spettrale e il pensiero che sul quel fango vi avessero camminato centinaia di migliaia di persone. Poi alzata la testa, si vede la porta della morte con quell’aurea spettrale che intimorisce.

N. G.: Mi hanno colpito più aspetti.  Appena arrivati ad Auschwitz – Birkenau ad esempio mi ha colpito la vastità del campo, del quale non si vede la fine, ed il freddo pungente, ciò mi ha fatto immaginare le condizioni di vita dei deportatiti. Anche nella parte di Auschwitz 1, pur essendo più museale, vi è una baracca con i disegni dei bambini presi un po’ da tutti i campi di concentramento e sterminio che mi ha fatto riflettere molto, infatti è sconfortate vedere come i bambini ritraessero la morte e la vita nel campo come fosse una vita normale e quotidiana.

Credete che possa essere dimenticato l’Olocausto e perciò possa accadere di nuovo?

A. R. e N. G.: credo che, se le persone non vogliono ricordare e non vogliano far nulla per farlo, possa essere dimenticato e quindi accadere di nuovo; perciò ritengo fondamentale ed utile il treno della memoria per tenere vivo il ricordo di questa pagina buia della storia, così come ritengo importante qualsiasi iniziativa per ricordare tutto ciò.

A cura di Luca Schifano

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