Questo articolo fa parte del numero 25 del MichePost, uscito in formato cartaceo l’8 maggio 2021
Appena veniamo al mondo ci vengono assegnati un sesso, un nome e un cognome che, in teoria, dovranno essere usati per identificarci e per renderci unici. Spesso però quell’appellativo, quel genere, non sono conformi alla persona alla quale dovrebbero corrispondere. Perché d’altronde anche se mi fossi chiamata con un altro nome, anche se avessi avuto i capelli rossi e gli occhi azzurri, anche se fossi stata più alta, sarei rimasta sempre me stessa. Certo, i fattori esterni influenzano molto la propria sicurezza, ma ciò che è contenuto nello scrigno dell’anima, quello di sicuro non muterà mai. Difatti oggi posso chiamarmi Caitlin e domani Harper, oggi mi possono piacere i ragazzi, domani le ragazze e dopodomani nessuno dei due, eppure cosa cambierebbe in me?
Una domanda importante, la cui risposta è racchiusa nella storia di We Are Who We Are (letteralmente “Noi siamo chi siamo”), la mini serie di Luca Guadagnino uscita lo scorso settembre e distribuita per HBO e Sky Atlantic.
Quella di Fraser e Caitlin è una avventura che si intreccia in ben otto episodi, spesso lasciando in sospeso alcune situazioni che permettono a chi guarda di sviluppare spunti di riflessione per niente banali. Tutto si svolge in una base militare americana situata vicino a Chioggia, in Veneto. Fraser, ragazzo statunitense appena trasferitovisi con le sue due mamme, entrambe soldatesse, subito fa amicizia con un gruppo di adolescenti, anch’essi figli di soldati. Tra lezioni a scuola, feste abusive e gite al mare, Guadagnino mette in evidenza quei piccoli dettagli della quotidianità spesso tralasciati ma che in realtà sono particolarmente rilevanti nell’adolescenza ma soprattutto nell’età adulta. Bisogna appunto precisare che questo non è un tipico teen drama che corre il rischio di cadere in un monotono clichè, ma un percorso mirato alla vera e propria consapevolezza e conoscenza di se stessi (identità di genere, orientamento sessuale e politico) attraverso la mediazione, su diversi piani, con i genitori, i propri figli, gli amici, ma anche perfetti sconosciuti incontrati per le strade di campagna o a un concerto. Infatti anche gli interventi di personaggi per così dire ‘secondari’ e di semplici comparse rimangono impressi proprio per la loro incisività ed efficienza.
Ciò che contraddistingue i personaggi di WAWWA è un morboso amore per la vita in cui la supremazia degli istinti li porta a fare scelte spesso affrettate ma che corrispondono alla più grande manifestazione di loro stessi rendendoli liberi da pregiudizi e tabù. Infine il contesto militare pseudo-americano, dato che di fatto siamo in Italia, combinandosi con l’ambiente marittimo della costa adriatica, ci trasporta in un mondo quasi avulso da qualsiasi ambito, concedendo al pubblico di focalizzare l’attenzione su particolari della storia con cui il regista fa la differenza.
Incredibile come questa serie mi abbia personalmente fatto prendere coscienza del fatto che non esiste un’età per comprendere a pieno la composizione della propria essenza, ma che solo col tempo e con la sincerità nei nostri stessi confronti ci renderemo davvero conto che effettivamente siamo chi siamo.
Grazie a questa serie Luca Guadagnino, dopo il capolavoro di Chiamami col tuo nome, è riuscito ancora una volta a metterci faccia a faccia con la cruda realtà, i cui lati più nascosti sono messi in evidenza senza badare al sentimento di disagio che scaturiscono.
A cura di Luca Guadagnino