L’NBA e la bolla di Orlando

 Questo articolo fa parte del numero 23 del MichePost, uscito in formato cartaceo il 30 ottobre 2020


A partire da agosto la parte finale della stagione di NBA si è svolta all’interno del parco divertimenti Disneyland di Orlando, in Florida. I giocatori, i coaches e lo staff delle varie squadre si sono trasferiti all’interno di questa area protetta che li ha ospitati sino ad ottobre con la conclusione delle “Finals”. L’esperienza di Orlando è stata colma di eventi e per certi aspetti anche discontinua, ma sicuramente quella che molti hanno definito come un’“americanata” si è dimostrata essere la risoluzione più efficiente: il fatto che le partite di NBA si siano potute svolgere in una zona immune al virus ha fatto sì che la stagione potesse proseguire regolarmente evitando il rischio di un possibile contagio.

Nonostante che l’intera organizzazione cestistica americana fosse rinchiusa all’interno del parco, non sono mancati i legami con gli avvenimenti esterni che tutt’ora, in aggiunta alle precarie condizioni sanitarie, stanno sconvolgendo gli Usa: il primo messaggio che l’NBA ha voluto lanciare è stato quello del “Black Lives Matter” per protestare contro il razzismo e la violenza nei confronti dei neri in America. Ad un certo punto la questione è diventata talmente calda che gli stessi giocatori hanno indetto uno sciopero, in quanto essendo i primi rappresentanti della comunità afroamericana del paese, si sono sentiti molto coinvolti e hanno ritenuto che fosse necessario diffondere un messaggio forte. L’NBA inoltre si è occupata della sensibilizzazione riguardo al tema del voto, incitando tutti i cittadini a votare e impegnandosi a convertire le strutture e le arene delle varie squadre in siti per il voto e per le attività relative al voto. Queste campagne sociali sono state possibili attraverso “NBA Voices”: l’iniziativa dell’NBA per affrontare l’ingiustizia sociale, unire le persone e promuovere i pensieri di ciascun cittadino americano. Grazie al basket dunque le persone si uniscono e viene dimostrata l’importanza dell’uguaglianza, della diversità e dell’inclusione.

Anche il rapporto con i tifosi non è stato interrotto, sebbene non potessero essere presenti fisicamente, l’NBA ha reso possibile un collegamento virtuale: ad ogni partita trecento tra i tifosi della squadra di casa avevano la possibilità di collegarsi sui video-wall posti a bordo campo. Senza alcun dubbio però, questo rapporto ha variato poiché il modo di fare intrattenimento è cambiato: da sempre l’NBA ci ha abituato a scenari di spettacolo e di intrattenimento puro, che sono i fattori portanti dell’azienda del basket e quelli che spingono le persone ad assistere alle partite dal vivo, ma dal momento che non c’è stata la possibilità di assistere in presenza ad un vero show, si è sviluppato nelle persone un disinteresse maggiore nei confronti della competizione. Infatti gara uno delle NBA Finals, che si è disputata tra i Los Angeles Lakers e i Miami Heat, è stata la gara delle finali che ha registrato il minor numero di spettatori in assoluto.

In conclusione in questi ultimi mesi di pallacanestro, anche se privi di molti aspetti che rendono grande lo sport della palla a spicchi, l’NBA non solo si è limitata ad organizzare la ripresa della stagione, ma soprattutto ha avuto un enorme impatto sociale, poiché ha utilizzato lo sport per unire le persone contro le problematiche che affliggono l’America. In nessuna occasione come durante questo periodo in cui era totalmente distaccata dal resto del paese, l’NBA è risultata più vicina alla società americana e alle sue esigenze.

A cura di Gabriele Bruni

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