Joe Biden ha vinto, è il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America. Ma anche Donald Trump, che ancora sembra ben lontano dal dichiarare la sconfitta, ha vinto. O meglio, ha vinto il “trumpismo”, hanno vinto le sue proposte ed anche il suo atteggiamento, che ha finito per contaminare ogni aspetto non solo delle elezioni ma anche di tutta la politica americana, e forse non solo quella.
Il suo influsso è riscontrabile, per esempio, nell’affluenza che queste elezioni hanno avuto: il 67%. Si tratta di una percentuale altissima, basti pensare che nel 2016 era stato il 55,7% degli statunitensi a votare, in linea con le precedenti presidenziali. Questo dato è dovuto dalla polarizzazione del discorso politico da parte di Trump: ogni sua scelta, istituzionale e non, tende a spaccare l’elettorato. Le sue posizioni particolarmente radicali, i veementi attacchi contro altri politici o contro gli stessi giornalisti che lo intervistano, hanno portato i media a porre sempre maggiore attenzione su di lui, non soltanto facendo pezzi senza colore politico, e questo determina, di conseguenza, alla nascita di due schieramenti, più nutriti e numerosi degli anni passati: o sei con lui o contro di lui.
Due eventi esplosi nel 2020 hanno contribuito ancor di più ad un’identificazione o ad una totale opposizione con l’ormai ex presidente: Black Lives Matter ed il COVID-19.
Se era comprensibile che il movimento divenisse parte integrante del dibattito americano, non era scontato che fosse così anche per la gestione della pandemia, risultata nettamente divisiva: il tycoon ha applicato in totale ritardo le misure di restrizione, o tuttalpiù ha lasciato che fossero i governatori regionali a gestire la pandemia, di fatto sgravandosi da ogni responsabilità; si è dimostrato tutt’altro che chiaro riguardo all’utilizzo della mascherina, sostenendo che non fosse un obbligo portarla, salvo poi cambiare opinione, ma difendendo comunque chi non la portava (perché, chi mai si alienerebbe i propri elettori; ha lanciato assurdi messaggi ai cittadini, come quello di iniettarsi nelle vene dell’amuchina.
Inevitabilmente, tutte queste affermazioni sono state lette in chiave politica: chi ritiene che un lockdown totale non sia la soluzione è con Trump, chi crede che ce ne sia bisogno è contro; chi indossa la mascherina è con lui, chi non la indossa è contro di lui.
Un altro atteggiamento a lui caratteristico, ovvero il menefreghismo verso le autorità competenti (vedi gli scontri con l’immunologo Anthony Fauci per la gestione della pandemia), è l’accusa di brogli che ormai l’ex presidente continua a sostenere da più di due settimane dalle elezioni.
Egli non ha dato inizio ad una pacifica transizione dei poteri dichiarando la sconfitta, ma ha proclamato la vittoria in Stati dove gli è stata certificato il contrario, da una parte chiamando in causa i suoi avvocati, dall’altra affidandosi a tweet di questo tipo: “Il Grande Stato del Michigan, con un numero di voti nettamente superiore al numero delle persone che hanno votato, non può certificare le elezioni. I democratici hanno imbrogliato alla grande e sono stati scoperti. Una vittoria dei repubblicani!”, “Perché Joe Biden sta formando rapidamente la sua amministrazione quando i miei investigatori hanno trovato centinaia di migliaia di voti illegali sufficienti a capovolgere il risultato in almeno quattro Stati, e quindi a vincere le elezioni?”.
Queste affermazioni sono state prontamente smentite, con i giudici in Arizona e Pennsylvania che hanno respinto come infondate le richieste del tycoon per bloccare la certificazione dei risultati, e anche in Georgia, dove i voti sono stati ricontati, la vittoria è andata comunque a Biden. Questo importa poco, però, perché migliaia di repubblicani continuano a scendere in piazza al grido di “stop the count”.
Ora, non sono solo l’arrogante menefreghismo verso le autorità competenti, un inasprimento preoccupante dei toni del dibattito pubblico, la costante presunzione di onniscienza o una devozione totale al leader a certificare una vittoria del trumpismo, ma è l’adozione di parte di questi comportamenti anche da parte dei Democratici: Trump ha portato Biden sul suo campo da gioco, lo ha costretto ad usare i suoi metodi, abbandonando la moderazione e la competenza per una maggiore aggressività, puntando alla pancia più che alla testa degli americani. Il “pagliaccio”, come Biden ha definito l’avversario in un dibattito, non fa parte di una scelta programmata dei Dem, ma di una conseguenza inevitabile del comportamento dell’ex presidente: se vuoi combattermi devi combattere come me.
Il trumpismo già mostra i suoi effetti nel dibattito politico e chissà che a breve non si sposti in Europa, dove noi siamo sempre molto attenti e solleciti a far nostre le più allettanti novità provenienti dagli USA.
Perché in fondo questo dualismo bene-male, per cui noi, naturalmente, stiamo dalla parte giusta, questo manicheismo politico è facile da comprendere e perciò estremamente allettante; se poi c’è qualche demagogo che riesce a far proprio questo semplice concetto, il dado è tratto.
A cura di Matteo Cirillo
E’ solo una piacevole conferma! Bravo un ottimo inizio!
Una analisi lucida! Niente sarà come prima. Bravo Matteo