Essere donne e fare politica oggi. Intervista a Lia Quartapelle

Lia Quartapelle è una deputata del Partito democratico, membro della Commissione Esteri e ricercatrice presso l’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI). Nel PD dal 2007, ne è anche membro della Direzione nazionale.

Si dice spesso che, anche nell’ambito della parità di genere, l’emergenza sanitaria abbia messo in luce problematiche che per molto tempo sono state considerate secondarie. Lei pensa davvero che ci stiamo avvicinando alla nascita di una società più equa? In quest’ottica, che ruolo gioca il Recovery Fund?
«La parità di genere prima o poi arriverà; spesso sembra che le cose procedano con troppa calma o addirittura che peggiorino, ma è una costante della storia degli ultimi due secoli.
Il problema è quanto velocemente ci arriveremo, a una società più equa. Il Recovery può essere senz’altro uno strumento utile per accelerare questo processo: io penso, infatti, che metà delle risorse del Recovery Fund debbano essere dedicate alla parità di genere, che si debba avere un approccio trasversale tra tutti i ministeri su questo tema e che si debba lavorare il più possibile per difendere, tutelare e valorizzare le donne, le loro capacità e la loro presenza sul mercato del lavoro».

Ottimismo a parte, abbiamo letto i dati di dicembre sullo spaventoso calo dell’occupazione tra le donne, e ci chiediamo: è questo un buon momento per essere donne in Italia?
«Le nostre mamme e le nostre nonne hanno vissuto sicuramente in un momento peggiore. Certo è che, però, durante la pandemia la condizione delle donne è peggiorata, e rischia di aggravarsi nei prossimi anni. Dal momento che sono venuti a mancare moltissimi servizi, sulle spalle delle donne è ricaduto tutto il lavoro di cura su bambini, anziani e disabili.
Poi, bisogna considerare che si tratta di una crisi asimmetrica, che danneggia alcuni settori molto più che altri: le attività colpite — dai negozi agli alberghi — vedono una grande occupazione femminile».

Secondo il Giusto Mezzo problematiche come la disoccupazione femminile, il gender gap e la mancata conciliazione tra famiglia e lavoro riguardano tutto il Paese e non soltanto le donne. 
«Sono d’accordo, ovviamente. L’Italia cresce di meno rispetto a tutti gli altri Paesi europei da più di 25 anni anche — e soprattutto — per il suo alto tasso di disoccupazione femminile e per il suo assurdo gender gap. Le ragazze hanno risultati scolastici migliori, ma spesso rimangono una risorsa inutilizzata: si pensa ancora che le donne debbano stare dietro ai bambini e agli anziani. E da questo problema ne dipendono moltissimi altri».

E’ da tempo che ormai si batte, insieme a molte altre donne come Laura Boldrini e Giuditta Pini, per la TamponTax e perché gli assorbenti non siano catalogati come beni di lusso, bensì come beni di prima necessità. A che punto siamo oggi? Quanto ancora c’è da fare affinché la tassazione di tutti gli assorbenti si riduca al 5%?
«Abbiamo ottenuto una vittoria simbolica per gli assorbenti compostabili, ma sappiamo che la maggioranza delle donne usa altri tipi di assorbenti. In questo momento le donne hanno tantissime altre esigenze, è vero, ma pensiamo che questa sia una battaglia importante per ribadire il principio di uguaglianza tra sessi: i prodotti necessari per l’igiene femminile sono beni di prima necessità, e come tali devono essere trattati».

Passiamo all’attualità. Tra i ventitré nuovi ministri indicati dal professor Draghi ci sono solo otto donne (cinque senza portafoglio), e nessuna tra queste è iscritta al Partito Democratico. Com’è possibile che anche in un partito come il PD — che si definisce da sempre “di sinistra” e progressista — le donne non riescano ad emergere?
«Il problema è di tipo politico. Di coerenza e di rappresentanza. Il PD negli ultimi mesi ha fatto diverse proposte sul tema delle donne, del lavoro e del welfare. Poi, però, non è stato coerente con le parole e gli impegni presi, e alla fine ha scelto di non favorire la presenza delle donne in politica nei ruoli nei quali si decide. Inoltre, oggi, è inevitabile che in politica si rappresenti la società: nel 2021, un partito progressista non può non rappresentare più della metà della popolazione italiana.
Sono battaglie simboliche, ma anche di contenuto. Tutto questo è accaduto perché da noi prevalgono logiche correntizie piuttosto che di coerenza e di rappresentanza».

In questi giorni si è parlato molto di quote rosa. Pensa che la mancata leadership femminile sia solo un problema di numeri? E ancora, non trova che possano indurre a considerare le donne una categoria a parte, accrescendo le discriminazioni e mettendo in secondo piano le competenze, gli ideali e le battaglie politiche rispetto al genere?
«Se non ci fossero state le quote rosa io non sarei in Parlamento. E lo stesso vale per tante altre colleghe, anche di altri partiti. Le candidate donne hanno molta più difficoltà a emergere: ricevono in media meno finanziamenti elettorali, hanno meno spazi sulle decisioni di partito e sui media.
Si tratta di un fatto documentato da ricerche accademiche: un meccanismo di riequilibrio, per velocizzare il raggiungimento della parità di genere nei luoghi decisionali, nelle istituzioni come nelle imprese, può aiutare tante altre donne ad emergere. Poi le quote sono degli strumenti, non il fine. Il fine è permettere anche alle donne di decidere, quindi tenere conto delle donne e delle loro esigenze, dunque fare delle politiche più vicine agli interessi di tutte e di tutti. Credo che su questo non ci sia merito che conti. Ci sono tanti uomini in posizioni di potere, non solo in politica, che, pur non essendo il meglio, ci sono. Non capisco perchè, quindi, il discorso del merito debba valere soltanto per le donne e non anche per gli uomini. Ci sono studi che dimostrano che per arrivare allo stesso grado di potere e di responsabilità le donne debbano aver avuto migliori risultati scolastici rispetto a quelli dei loro pari uomini. Ci sono delle discriminazioni sia contro le donne che di donne nei confronti della propria autorevolezza, della propria voce. Queste cose non possono essere cancellate pensando che vadano avanti i migliori e le migliori: purtroppo molte volte non funziona così».

Negli ultimi giorni, sui giornali si è letto che Zingaretti ha intenzione di proporre solo (o quasi) sottosegretarie donne ai vari ministeri. Che ne pensa?
«Io non credo che la discussione che abbiamo sollevato su coerenza e rappresentanza sia una discussione semplicemente per i posti: è una discussione molto seria sul profilo del partito, sul chi vogliamo rappresentare e in che modo. Non sono appassionata del dibattito sulle sottosegretarie donne: dopo l’errore che è stato fatto per i ministri, è ovvio che si debba porre più attenzione».

Si aspetta qualche ruolo all’interno del Governo Draghi?
«Non sono io che decido. Sono molto contenta e onorata di poter sostenere questo Governo anche dal Parlamento».

Iacopo Melio — consigliere regionale del Pd in Toscana — ha definito “scandaloso” avere un Ministero per la Disabilità creato ad hoc per ribadire l’esistenza di una categoria a parte. Si trova d’accordo?
«Il Ministero per la Disabilità è stato voluto dalla Lega. Si tratta di una richiesta avanzata da una certa parte del Paese, e credo che per sostenere l’Italia in un momento così difficile sia giusto lasciare spazio anche a idee e concezioni diverse dalla nostra… Comunque, preferisco il termine “diversamente abile”: mi sembra più inclusivo».

Oggi, mercoledì 17 febbraio, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha tenuto un discorso al Senato sul programma del nuovo governo in vista del voto di fiducia di statera. Quali sono le sue prime impressioni?
«Il discorso mi è piaciuto tantissimo, soprattutto perchè mi ha fatto molto riflettere. Il Presidente Draghi ci ha richiamato all’unità nazionale. Non è una formula retorica. E’ un richiamo al dovere, per quanto difficile, nell’interesse dell’Italia che sta soffrendo. Sono parole che pesano molto, che mi hanno dato da riflettere e che mi faranno approcciare ai prossimi mesi in maniera diversa. Dal discorso è emerso un chiaro patriottismo che licenzia, una volta per tutte, il sovranismo straccione. Ho apprezzato molto un passaggio in particolare: una presenza italiana sul piano internazionale è data dalla consapevolezza di quello che noi siamo, dei nostri punti di forza e di debolezza».

Intervista a cura di Anna Armentano, Tommaso Becchi, Vittoria Bencini e Alessia Prunecchi.

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