“Il ‘68 sopraggiunse con tutta la sua carica esplosiva e travolse pensieri, catturò opinioni, animò progetti, ci proiettò in una dimensione nuova, una contestazione sociale di ampio respiro e sostanzialmente di stampo giovanile”.
Questo mi spiega Francesca, che all’epoca aveva sedici anni e proveniva da una famiglia benestante fiorentina. Entrambi i genitori si potevano definire anticomunisti, mi racconta; infatti il padre si collocava nell’area liberal-repubblicana, mentre la madre simpatizzava per il partito della Democrazia cristiana, dunque la sua e quella dei quattro fratelli si può definire una formazione del tutto cattolica. Le domando allora come sia avvenuta la sua adesione alla Sinistra e ai movimenti studenteschi e lei mi racconta che prima del famigerato ’68 non si era mai interessata di politica o di altre questioni sociali poiché tutto il suo mondo girava attorno alla musica, all’arte e ai libri e tramite questi riusciva ad esprimere se stessa e in essi si riconosceva. Cercava di capire quale fosse il suo ruolo nel mondo. Poi a poco a poco cominciarono le prime manifestazioni e i primi moti, all’epoca frequentava il liceo scientifico di Firenze insieme a due dei suoi fratelli e proprio quel luogo divenne uno dei “centri propulsori”, come afferma, di quei primi movimenti a favore del progresso e del cambiamento.
Tra gli obiettivi prefissati c’erano il tentativo di abbattere l’autoritarismo nelle istituzioni pubbliche, i vecchi metodi educativi e moralistici, le tradizioni conservatrici e conformiste a favore invece dell’equità sociale, del potere alle masse, di maggiori diritti ai lavoratori. Si combatteva ancora contro il fascismo che si era riproposto come neofascismo promuovendo azioni violentissime. Tutto ciò colpì molto i giovani di tutte le estrazioni sociali che cominciarono a combattere per un futuro più giusto e equo, dove ricchi e poveri avessero stessi diritti e opportunità. Francesca mi racconta che si affiancarono alle grandi manifestazioni anche nuove mode: i ragazzi sentivano di possedere le chiavi del mondo e con esse volevano apportare importanti novità nella società. Tutto ciò finì per affascinare anche lei che decise di aderire ai dibattiti e ai vari movimenti.
Con un certo entusiasmo anche Serena, che allo scoppiare dei moti aveva solo dieci anni e viveva a Roma, mi racconta dei molti fermenti che affiancavano queste manifestazioni. La sua scuola si trovava non troppo lontano dalla facoltà di architettura e percependo un’insolita tensione “moriva” dalla voglia di andare a vedere cosa stesse accadendo. Ciò che più la colpiva erano le nuove mode, gli hippy seduti sulle scale di piazza di Spagna e la musica che circolava, ma ci fu un evento in particolare per cui decise di essere più partecipe, la strage di piazza Fontana. Scelse di unirsi ad una delle tante organizzazioni che fiorirono in quel periodo, Lotta Continua, e mi spiega che tra i vari gruppi c’era molta rivalità, ma all’interno del proprio “ci si voleva bene”.
Francesca dice di ricordare ore e ore di assemblee a scuola, scioperi e manifestazioni, rammenta le cariche della polizia ancora con la paura negli occhi. Con quello stesso timore nel volto, ma anche con una certa soddisfazione Daniele, nato e cresciuto a Roma in una famiglia di esponenti di sinistra, che nel ’68 aveva tredici anni, ricorda un giorno in particolare, il 13 Aprile di quell’anno. Si trovava ad una manifestazione con un caro amico quando ad un certo punto la polizia cominciò a manganellare con violenza, giunsero “persino agenti con gli idranti”, si crearono grandi disordini, ma nessuno intendeva arrendersi. Daniele cominciò a correre, ma fu costretto ad arrestarsi poiché un gendarme lo fermò sollevandolo con forza per colpirlo con il manganello; dice di non aver mai sentito così vicina la morte come in quel momento e ancora si mostra incredulo del miracolo accaduto. Il gendarme lo lasciò andare dopo averlo insultato.
A questo punto domando a Francesca che cosa pensassero i suoi genitori, appartenendo all’ala conservatrice, della sua adesione ai movimenti. Prima di rispondere sospira leggermente, poi mi guarda e comincia a spiegarmi che non ne erano contenti e che anzi si mostravano contrari e preoccupati. “Erano dei conservatori e godevano di un certo benessere economico dunque non comprendevano questi moti di rivolta”, afferma Vincenzo, uno dei suoi fratelli che all’epoca aveva tredici anni, continua poi dicendo che quello era un periodo in cui si prospettava un futuro nuovo, di distacco dal vecchio mondo “dei grandi”. Questo avvenne in parte grazie al boom economico che portava con sé una serie di bisogni e esigenze innovative, ma che poneva su due strade parallele coloro che auspicavano a un cambiamento e coloro che preferivano mantenere intatte le vecchie tradizioni. Entrambi, sia Vincenzo che Francesca, mi spiegano che questo movimento studentesco, ma anche operaio, si manifestò contemporaneamente in vari paesi occidentali poiché le cosiddette “masse” stavano acquisendo sempre maggiore consapevolezza dei gravi problemi che affliggevano il mondo. Primo fra tutti l’intervento americano in Vietnam in contrapposizione all’ideologia di Mao Tse Tung.
Dai quattro racconti emerge dunque che la Sinistra ha permesso a quei giovani di ricominciare a sperare in un mondo più giusto e equo dopo anni di guerre. Ha unito e diviso, dato e tolto, ma cosa più importante, ha restituito a ognuno il diritto di occuparsi e preoccuparsi del proprio futuro.
A cura di Diletta Zaccagni