Il 40% degli adulti transgender ha provato almeno una volta a togliersi la vita. Il 92% di questi prima di aver compiuto 25 anni, quando, forse, non avevano neanche finito gli studi. Sono dati allarmanti che ci rivelano aspetti paurosi della nostra società: la paura del “diverso” da parte dei “normali”, la paura dei “normali” da parte del “diverso”. Il “diverso”, in questo caso la persona trans, ha paura della reazione degli altri: gli amici, i parenti, i conoscenti e perfino il governo (dopo l’elezione di Trump, le chiamate alla hotline del Trevor Project, progetto che mira ad aiutare i giovani LGBT statunitensi, sono aumentate). Il “normale” ha paura perché non sa, o sa solo i pregiudizi: crede che tutte le trans siano prostitute, ritiene che le persone LGBT bruceranno nel fuoco eterno, pensa che la razza umana si estinguerà a causa del matrimonio di due innamorati dello stesso sesso. Perché il nostro mondo, così progredito in campi come la scienza e la medicina, sembra essere rimasto all’epoca dei cavernicoli in campo di accoglienza empatica e accettazione reciproca? Perché noi, così tecnologici e moderni, discriminiamo una persona diversa a punto tale da darle il desiderio di lasciare questa vita? Forse solo perché temiamo il mondo al di fuori della nostra piccola comfort zone, e temendolo non lo conosciamo, non ci informiamo su di esso; perdendoci, però, tutti i colori che ci potrebbe offrire. Eppure, fortunatamente, c’è chi sceglie di raccogliere il proprio coraggio e uscire dalla confortevole bolla dell’ignoranza volontaria: coloro che prendono questa decisione non sono né eroi né santi, ma individui normali che hanno, forse, solo un po’ di sete di conoscenza, apertura mentale e passione per l’altro in più. Per un appartenente alla comunità LGBT, anche solo uno di loro può rappresentare la differenza fra la vita e la morte: secondo i dati del Trevor Project, una sola persona solidale riduce il rischio di suicidio del 30%. Questo ci fa capire il grandissimo potenziale che ognuno di noi possiede: basta fare un passo oltre il confine della bolla, e chissà quante vite possono essere salvate.
Quando, il 3 novembre 2018, uno dei miei più cari amici mi ha detto di essere trans, mi sono chiesta se sarei stata capace di fare quel passo. Di spendere tempo ed energie cercando di capire, provando a trovare le informazioni giuste e, soprattutto, tentando quasi disperatamente di dimostrargli il mio supporto oltre alle poche parole che gli avevo detto dopo il suo coming out. Mentre accettare è stato naturale e comprendere quasi immediato, abituarsi a tutte quelle differenze che d’un tratto mi si sono catapultate addosso non è stato semplice. Non mi sto riferendo solo al taglio di capelli o al cambiamento del tipo di vestiario, ma soprattutto al nome e ai pronomi. All’ inizio, sbagliavo di continuo il genere e mi correggevo altrettanto continuamente: avevo paura, a causa della mia apparente sbadataggine, che il mio amico, Elia, pensasse “Ecco un’altra transfoba che non mi vuole accettare per quello che sono” e credesse di non avere quella persona solidale che è tanto importante nella lotta contro il suicidio. Mi sembrava impossibile che, un giorno, mi sarebbe parso strano chiamarlo col suo deadname, eppure è successo: a un certo punto mi sono accorta che, quando pensavo a lui, non mi veniva più in mente l’immagine di lui con i capelli lunghi, ma quella di lui con i capelli corti, e mi sono convinta di aver accettato, capito e, in un certo senso, assimilato. Non mi sembrava più strano usare il maschile. Non dovevo più rammentarmi ogni volta il nome giusto. Mi ci ero abituata: come un nuovo albero che diventa parte di un giardino, e che all’inizio è alieno, ma poi naturale, tutte le diversità che inizialmente mi erano sembrate tanto impossibili da non notare si erano integrate nel paesaggio della mia vita, e si erano colorate come tutte le altre foglie.
Ma non credo che bastino la comprensione e l’accettazione per dare il proprio completo supporto a un amico trans (o, comunque, a un amico). Penso che serva una sorta di ascolto attivo: fare domande, capire le risposte, dimostrare la vicinanza con fatti e parole, non essere, insomma, solo riceventi passivi delle informazioni e dei sentimenti che l’altro porta e scatena. Per esempio, nonostante sia molto importante, non basta solo usare il genere giusto: bisognerebbe interessarsi all’argomento come ci si interesserebbe di un qualsiasi altro tema. Infatti, ignorare aspetti tanto degni di nota nella vita di una persona come il genere e l’identità mi sembra quasi come sminuire la loro importanza. Certo, è vero che le nostre menti e le nostre anime non hanno sesso, e che il nostro valore non risiede nei nostri organi sessuali, ma è anche vero che il malessere provato dalle persone trans è terribile; per questo motivo ritengo che non esprimere il minimo interesse nei confronti di ciò che provano sia denigratorio per loro, che magari hanno avuto molta paura a fare coming out. Forse è proprio l’essere interessata e coinvolta che rende la persona solidale e quindi ipoteticamente vitale per l’amico, forse è proprio la passione profonda per l’altro che è capace di donare speranza e luce.
Tutto ciò che ho scritto è, secondo la mia esperienza, cosa significa avere un amico trans. Manca ancora, però, la considerazione più importante, quella che andrebbe evidenziata di giallo in un libro scolastico: lui, lei, o qualsiasi altro pronome ci sia nel mezzo resterà lo stesso di sempre. Non diventerà qualcun altro solo perché ha scoperto la sua vera identità. Elia, per fare l’esempio del mio amico, non è diventato trans, lo è sempre stato, tanto che ora, riguardando indietro, riesco a scorgere lui sotto le pieghe di lei. È come se lui fosse sempre rimasto nascosto da un vetro opaco che, spaccato da chissà quale pressione, è andato in mille pezzi, liberando il suo vero e autentico sé. Quindi, i colori che compongono la sua personalità e, se posso dire così, la sua anima sono più chiari e visibili, ma sempre gli stessi. È questo quello che credo essere il concetto fondamentale dell’articolo, il motivo per cui ho passato ore a scrivere: non siate disgustati di un o di una trans solo perché è trans, siatelo di coloro che discriminano, che offendono, che restano chiusi ermeticamente e volutamente nella loro bolla. Perché non è la diversità che deve far paura, ma l’ignoranza.
A cura di Elisa Salvadori