La natura dei rapporti tra Pechino e Mosca

Il 4 febbraio a Pechino, nella cornice dell’inaugurazione dei Giochi Olimpici Invernali, vera e propria vetrina per il prestigio internazionale cinese e motore propulsivo per il consenso interno, si sono incontrati Putin ed il padrone di casa Xi Jinping, presidenti i cui Paesi da anni stanno intessendo legami commerciali sempre più stretti nell’ottica di un asse antiamericano.

La convergenza di interessi tra i due Stati è stata sancita da una dichiarazione congiunta in cui si parlava di un’intesa che “non ha limiti”, come a suggello di un’informale e storicamente inedita alleanza, condita da una critica neanche troppo velata alla Nato, di cui si criticava l’espansionismo.

Ma il 24 febbraio, tre settimane dopo, l’esercito russo ha invaso l’Ucraina, e da quel momento i rapporti tra Mosca e Pechino si sono fatti molto più complicati, dato che questa guerra non conviene affatto alla Cina.

In primis, il colosso asiatico punta alla stabilità.

Nell’autunno di quest’anno si terrà il XX Congresso del Partito Comunista Cinese, e Xi, che dovrebbe essere confermato leader del Paese, difficilmente desidera imbarcarsi in un conflitto a qualche migliaio di chilometri di distanza dai propri confini, rischiando gratuitamente di compromettere la propria immagine in un momento così delicato. Inoltre, si deve aggiungere che la stabilità è già minata internamente da altri due fattori: il primo è il tasso di crescita del PIL del 5,5% prospettato per il 2022, il più basso dal 1991; il secondo è il Covid-19, che nelle ultime settimane si è diffuso esponenzialmente, tanto che sono stati oltrepassati i ventimila contagi giornalieri, la cifra più alta mai dichiarata nello Stato dall’inizio della pandemia.

Ma oltre a motivazioni interne, a far desistere Pechino da un aiuto militare nei confronti di Putin ci sono anche gli interessi economici che legano la Cina alle altre grandi potenze: se l’invasione è stata così duramente condannata, in particolare in Occidente, e se le sanzioni hanno pesato e stanno pesando così tanto sull’economia russa, sarebbe una mossa assennata seguire lo Zar? Soprattutto, varrebbe la pena salvaguardare e magari rafforzare i rapporti con la Russia (nel 2021 gli scambi tra Cina e Russia hanno toccato i 146 miliardi di dollari) per sacrificare quelli con gli Stati Uniti (728 miliardi) e quelli con l’Unione Europea (828 miliardi)? Probabilmente no, o quantomeno si tratterebbe di una mossa assai azzardata.

In ultimo, non è certo che Xi ed i suoi consiglieri fossero a conoscenza dell’invasione dell’Ucraina, sia per i vari articoli scritti in proposito che tendevano a relegare l’eventualità di un attacco ad invenzione americana, sia per le migliaia di cinesi risiedenti in Ucraina colti impreparati. Lo stesso ministro degli affari esteri di Pechino Wang Yi ha poi dichiarato che “La Cina sostiene fermamente il rispetto e la salvaguardia della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti gli Stati, attenendosi con serietà agli scopi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite. La posizione della Cina è coerente, chiara e si applica anche alla questione dell’Ucraina”. Affermazioni poco in linea con un supporto all’operazione militare.

Allo stesso tempo Xi non può neanche dare il benservito a Putin, perché significherebbe essenzialmente ammettere di aver commesso un macroscopico errore di politica estera durante l’ultimo decennio, tentare di sganciarsi progressivamente dagli Stati Uniti per abbracciare la Russia.

Quindi, la Cina, fino ad ora, ha scelto di tenere il piede in due staffe, in bilico tra la perdita di fondamentali rapporti commerciali e la perdità della reputazione, facendo telefonate e incontri con gli Stati Uniti e definendo “scandalose” le sanzioni, sostenendo che il conflitto vada fermato ma astenendosi dal condannare l’invasione nell’assemblea Onu.

Difficilmente questo ingombrante convitato di pietra farà mosse azzardate, ma preferirà rimanere nell’ombra, in attesa della giusta occasione.

A cura di Matteo Cirillo

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