Intervista a Nicola Fratoianni, deputato e portavoce di Sinistra Italiana

Nicola Fratoianni è stato segretario di Sinistra Italiana dal 19 febbraio 2017 al 1° giugno 2019. Eletto alla Camera dei Deputati nel 2013, è membro della commissione Cultura, Scienze e Istruzione.

Onorevole Fratoianni, Sinistra Italiana ha presentato varie proposte per sconfiggere la crisi coronavirus, tra cui l’introduzione di un reddito di quarantena. Dove pensa di trovare i fondi?

«I fondi si trovano innanzitutto aumentando il debito; è una strada necessaria in questo contesto. Di fronte a questa emergenza sanitaria e sociale è necessario garantire che nessuno resti solo, che nessuno perda il lavoro, che nessuno si trovi in una condizione nella quale è messa a rischio la sua vita. L’area della povertà e dell’esclusione sociale rischia di ampliarsi: serve un supporto per tutelare tutte quelle persone che non sono in grado di accedere agli strumenti classici, agli ammortizzatori sociali. Ci sono tantissime persone, in particolare giovani e precari, spesso non tutelati, a cui si deve garantire un reddito che possa permettere loro di vivere con dignità. Mentre continuiamo a combattere il virus dobbiamo cominciare anche a immaginare il futuro del paese: l’epidemia sta mettendo allo scoperto tutti i limiti del modello con il quale abbiamo vissuto fino ad oggi».

Dunque sta attaccando il modello capitalista e liberale.

«Sì. Io penso che il capitalismo finanziario sia un modello che negli ultimi decenni ha messo sempre di più al centro il profitto, l’interesse di pochi. Ovviamente a danno dell’interesse collettivo. Pensiamo alla sanità, che è stata privatizzata o ridotta a una logica di carattere aziendale. Io non ho niente contro l’impresa privata, ma bisogna riconoscere che essa si muove per fare profitto. Ci sono settori importanti su cui non puoi applicare questa logica, primi fra tutti istruzione, salute, trasporti e ambiente. Se riduciamo a mercato anche tutto ciò che serve a garantire diritti universali, quando arriva una pandemia non ci sono abbastanza posti letto in terapia intensiva e si deve iniziare una corsa per evitare di trovarsi come a momenti è successo a dover scegliere chi curare; è inaccettabile».

Ha parlato di disuguaglianza sociale. Sappiamo che Sinistra Italiana ha proposto l’istituzione di una tassa patrimoniale: deve ammettere però che l’effetto più probabile sarebbe un esodo delle poche grandi ricchezze residue, proprio quelle che detengono una fetta del nostro debito.

«Certo, è un argomento che esiste, ma ci sono molti strumenti per impedire che questo accada. Per diminuire le disuguaglianze una patrimoniale è necessaria. Sappiamo bene che se lo Stato tassasse all’1,5% il patrimonio di chi possiede più di 4 milioni potrebbe ottenere 27 miliardi, che diventano 12/13 considerando l’eliminazione delle forme già esistenti di patrimoniale. Io penso che una tassa di questo tipo, almeno in forma straordinaria, serva: ci permette una redistribuzione sulla base del principio della solidarietà».

Tornando alla crisi coronavirus, perché il ministro Speranza – di fatto alleato del suo partito – ne ha approfittato per firmare un decreto che ha portato alla chiusura dei porti nel nostro paese?

«Credo che Speranza, sotto pressione per l’emergenza, abbia sbagliato. Insieme a molti colleghi ho firmato più di un appello per chiedere al Governo dei protocolli che garantiscano da un lato la salvezza della vita di chi rischia di perderla nella traversata del Mediterraneo e dall’altro la tutela della salute di tutti (migranti, comunità costiere…). Detto ciò, non appoggiamo una politica di sbarchi incontrollati: la sicurezza deve essere garantita, ma allo stesso tempo non devono essere messi in discussione degli obblighi fondamentali, come quello di offrire sempre un porto sicuro. Abbiamo solo chiesto che il decreto che ha chiuso i porti sia revocato, ma non è ancora stato fatto. Penso che proprio nei momenti di grande difficoltà ci si debba occupare di chi è più debole».

Ma cosa ha realmente in comune SI con gli altri partiti della maggioranza – a parte la funzione antisalviniana?

«È un po’ difficile rispondere, perché ci sono questioni su cui esistono convergenze con il M5S, per esempio l’attenzione alle tematiche ambientali, e altre col PD con cui si costruisce via via un’intesa. Questo governo è nato in una condizione di emergenza di tutela democratica del Paese. Ci accomuna l’idea che usciremo da questa crisi solo con l’ambizione di creare un mondo nuovo, altrimenti il rischio è quello di vedere gli effetti della crisi sui più deboli e di farci trovare nuovamente impreparati quando ci sarà un’altra pandemia. Questa vicenda deve diventare anche per i partiti e il governo l’occasione di ripensare il modo in cui viviamo».

Riguardo a Salvini: lei critica spesso il linguaggio e i modi del suo populismo nazionalista, ma crede che sia possibile opporsi a tale ideologia mostrandosi tolleranti e rispettosi? Non le sembra che la Bestia possa sbranare chiunque rimanga inerme di fronte a lei o peggio ancora le sussurri?

«La Bestia è un pericoloso strumento per la creazione di consenso in cui la Lega ha investito enormi risorse, penso ai famosi 49 milioni. Essa scarica su nemici più deboli le contraddizioni che hanno a che fare con il sistema; non credo che si debba stare fermi o sussurrare di fronte a questo. È necessario urlare, e anche molto forte, la propria indignazione tramite le parole e i gesti. Questo è il motivo per cui io sono tra coloro che hanno scelto di salire sulle navi delle ONG, primo nemico della Bestia. Bisogna svelare gli imbrogli, bisogna spiegare ad esempio che misure come la flat tax non sono d’aiuto ai cittadini ma a chi le tasche le ha già gonfie. Certo, in contemporanea si deve anche costruire un’alternativa».

Forse risiede qui la debolezza della sinistra. Mentre la destra propone un nemico concreto, l’immigrato, la sinistra ne propone uno astratto, la disgregazione sociale o il capitalismo. 

«Quando si ha paura non c’è niente di meglio che avere un nemico in carne ed ossa, magari più debole. Se qualcuno ti spiega che invece che organizzarti, batterti, cambiare le cose, puoi semplicemente prendere a calci chi è più debole di te, farlo diventa rassicurante. Dopo non ti sentirai meglio, non hai risolto niente».

Ma la sinistra, a differenza della destra, non fa arrivare il messaggio. Se non riesce a comunicare la propria concezione del mondo non può sperare che il cittadino medio voti per lei. 

«Non c’è dubbio. Negli ultimi anni, infatti, la sinistra non è mai riuscita a comunicare con chiarezza le proprie idee e così facendo è finita spesso per legittimare le posizioni degli avversari. Cambiare richiede il coraggio di acquistare un elemento di radicalità: c’è bisogno di affrontare i problemi guardando alla radice. Chi vuole essere alternativo alla destra deve avere la forza di farlo in modo netto. Sinistra Italiana lo fa, ma ancora è molto piccola. In molti rinunciano a votarci per questo; io credo che si debbano sostenere le proprie idee, ma comprendo anche che porsi il problema dell’efficacia del voto sia naturale».

Non pensa che la frammentazione della sinistra non abbia giovato? 

«Sì, lo penso tantissimo. La frammentazione di tutto ciò che sta a sinistra del Partito Democratico è un disastro cosmico: è necessario infatti che questa situazione venga definitivamente superata. Le ragioni che hanno portato a questo sono talmente complesse che richiederebbero mesi di discussioni. Questo non toglie che il tema sia estremamente serio e vada affrontato il prima possibile; finché la sinistra sarà così debole provare ad allargare l’area del consenso sarà sempre molto difficile».

Ha mai ritenuto il populismo di sinistra una valida alternativa?

«Su questa parola c’è stato un enorme tasso di semplificazione, di sufficienza e di ambiguità. Recuperare una capacità popolare e costruire consenso attorno ad alcune questioni come i beni pubblici, la redistribuzione della ricchezza o la giustizia sociale è necessario. Se per populismo intendiamo invece l’idea che sia possibile o giusto procedere verso una semplificazione del messaggio politico, dello slogan, allora si è destinati allo scontro con la complessità della realtà: non è un caso che le forze che si definiscono populiste fanno molta fatica a misurarsi con l’esperienza di governo».

È curioso che in tempi recenti l’unica community significativa di sinistra radicale è riconducibile a Bernie Sanders, che in campagna elettorale è ricorso a molti slogan.

«Sanders si è servito degli slogan per avanzare proposte molto strutturate; la sua è una grande capacità retorica. Purtroppo i democratici hanno rifatto l’errore di puntare su un moderato, che a mio parere difficilmente batterà Trump. Non si vince al centro: è necessario un elettorato forte, mobilitato, radicalizzato. Se la politica non recupera l’aspetto del conflitto tra visioni del mondo, finisce per non essere più interessante».

Rimaniamo in tema slogan: usciremo davvero migliori da questa crisi?

«Non lo so. Talvolta ho trovato urticante la retorica delle ultime settimane perché cozza molto con la durezza della realtà, ma capisco il bisogno collettivo di attaccarsi a qualche speranza. Non ne usciremo necessariamente migliori perché provati dal dolore, ma soltanto qualora decidessimo di cambiare tutto. Questa crisi presenta un’alternativa: è possibile uscirne con una società migliore, più moderna e in grado di affrontare le sfide del futuro, ma c’è anche il rischio di cadere in una grande regressione sociale e politica. Dipenderà da noi, dalla nostra capacità anche di dire dei “mai più” (mai più tagli alla sanità, mai più mettere gli interessi privati davanti a quelli collettivi): è retorica ma è la verità».

Intervista a cura di Tommaso Becchi, Luca Parisi ed Elisa Salvadori

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