Per Carola

Il 29 giugno 2019, dopo circa due settimane in mare, la nave Sea Watch 3 ha attraccato al porto di Lampedusa contro gli ordini del Governo italiano. La comandante, Carola Rackete, è stata subito portata agli arresti domiciliari, fra gli applausi di chi approvava il suo gesto e gli insulti di chi, invece, lo condannava: “spero che ti violentino”, “venduta”, “vattene in galera”, “vergogna”. Offese barbare che non fanno altro che rivelare la vera identità e i veri pensieri e valori (se si possono chiamare valori) di chi le urla. Spicca il giudizio che Matteo Salvini ha dato di questa giovane donna: “fuorilegge”, “criminale”, “la vorrei in carcere, sarà espulsa”. Criminale di giustizia, colpevole solo di avere infranto effimere e ingiuste leggi terrene, Carola ha scelto con coraggio di salvare 42 vite, 42 sogni, 42 anime. Se un pompiere irrompe in un edificio per spengere un incendio, noi non lo lodiamo? La comandante ha fondamentalmente fatto lo stesso: ha spento il fuoco della paura e della disperazione portando in salvo i passeggeri della sua nave, sfiniti dal mare e dalle difficoltà del loro viaggio. È incivile e fuori da ogni ragionamento umano accusare qualcuno di empietà per un atto pio. Carola è stata condannata da chi non ha memoria né sentimento, da persone fredde e ignoranti che hanno subito scordato le stragi avvenute nel Mar Mediterraneo. Se si ricordassero, infatti, del quattordicenne affogato con la pagella cucita in tasca, dei bambini terrorizzati dall’oceano per un viaggio disperato, delle donne mutilate e degli uomini torturati; se anche solo per un momento provassero pietà, empatia, amicizia per loro, per i nostri fratelli e per le nostre sorelle, perché si comporterebbero così? Perché paragonerebbero una giovane che i nostri fratelli e le nostre sorelle li ha salvati a un assassino? Sono inariditi dalla secchezza della paura, dalla siccità dell’ignoranza: che l’acqua della comprensione possa scioglierli presto.

Ma Carola non è la prima degli eroi che hanno dovuto scegliere quale legge seguire. La prima che mi viene in mente è Antigone, personaggio mitico dell’Antica Grecia. La fanciulla, figlia di Edipo, commette un “delitto santo” seppellendo contro il volere del re Creonte suo fratello Polinice, morto in guerra contro la sua stessa patria, Tebe. La ragazza ripete più volte a sua sorella Ismene, al re e al coro di stare andando contro alle leggi mortali per rispettare quelle divine. Quali sono le leggi non scritte a cui Antigone obbedisce? L’ amore verso l’altro, il rispetto anche per il nemico, l’adesione ai propri ideali, l’abbandono della paura. La comandante ha compiuto lo stesso crimine della eroina greca. Onorando la vita, ha disonorato le regole imposte dagli uomini. Non ha nessuna vera colpa, anzi, forse andrebbe ringraziata. Grazie, perché hai salvato 42 vite. Grazie, perché hai camminato fra gli insulti senza rimpiangere la tua decisione. Grazie, perché hai perseverato nella tua scelta pur conoscendo le conseguenze. Grazie, perché ci hai mostrato la tua audacia. Grazie Carola: nuova, coraggiosa Antigone.

Io non credevo, poi, che i tuoi divieti fossero tanto forti da permettere a un mortale di sovvertire le leggi non scritte, inalterabili, fisse degli dei: quelle che non da oggi, non da ieri vivono, ma eterne: quelle che nessuna sa quando comparvero. Potevo io, per paura di un uomo, dell’arroganza di un uomo, venir meno a queste leggi davanti agli dei?

Sofocle, Antigone (trad. di E. Cetrangolo, ERI, 1971)

A cura di Elisa Salvadori

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