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Vaccinarsi contro il virus nei paesi del terzo mondo

 Questo articolo fa parte del numero 24 del MichePost, uscito in formato cartaceo il 19 febbraio 2021


Dalla pubblicazione della sequenza genetica del virus SARS-CoV-2 l’11 gennaio 2020, il mondo scientifico ha incessantemente lavorato per trovare una cura o un vaccino con cui combatterlo. 

Al gennaio 2021, sono stati autorizzati 9 vaccini da almeno un’autorità nazionale di regolamentazione per l’uso pubblico: 2 a RNA (il primo approvato,  Pfizer-BioNTech, e il Moderna), 3 inattivati convenzionali (BBIBP-CorV di Sinopharm, CoronaVac di Sinovac e BBV152 di Bharat Biotech), 2 a vettore virale (Sputnik V dell’Istituto di ricerca Gamaleya e il vaccino Oxford-AstraZeneca) e un vaccino peptidico (EpiVacCorona). 

La distribuzione di questi vaccini, tuttavia, ad oggi non si sta rivelando affatto equa. Infatti secondo il Global Health Innovation Center della Duke University, Carolina del Sud, delle 12.7 miliardi di dosi acquistate fino ad ora, i paesi ad alto reddito sono riusciti ad accaparrarsi 4,2 miliardi di dosi, che corrispondono ai tre quarti del totale globale degli ordini governativi, mentre i paesi a basso reddito se ne sono assicurati appena 675mila. E’ inoltre fondamentale ricordare che nei paesi più sviluppati siamo solo un miliardo, mentre nel resto del mondo ci sono altri sei miliardi di persone. Per fare un esempio più pratico, il Canada ha comprato dosi per vaccinare ogni canadese 5 volte, mentre in Europa, Australia, Nuova Zelanda e Cile ne hanno per vaccinare i propri cittadini in modo completo almeno due volte, se contiamo anche i vaccini non ancora approvati. In Israele più di un terzo della popolazione ha avuto già la prima dose e più di un quinto entrambe, mentre nei territori palestinesi sono ancora in attesa dell’arrivo delle prime dosi. Israele ha recentemente annunciato che trasferirà 5.000 dosi per immunizzare gli operatori sanitari palestinesi in prima linea.

La settimana scorsa la Guinea Conakry era ancora l’unico paese africano ad avere somministrato il vaccino, per un totale però di sole 25 dosi di Sputnik, regalate dalla Russia in via sperimentale. Le Seychelles, invece, in Africa ma non un paese povero, sono le uniche ad avere lanciato una vera campagna di vaccinazioni. Già dall’inizio di questa corsa per assicurarsi il vaccino a dicembre, ricordando che l’Inghilterra è stato il primo paese occidentale a somministrare una dose il 9 Dicembre 2020 alla novantenne Margaret Keenan, lo scontro geopolitico sui vaccini si è fatto eclatante. 

Tuttavia, se il focus non si sposta nemmeno un po’ sui paesi meno sviluppati che possiamo chiamare del ‘terzo mondo’, non possiamo certo aspettarci che il ‘problema pandemia’  sparisca da un giorno all’altro. Come ha affermato Gita Gopinath, capo economista del Fondo monetario internazionale, “la pandemia non finirà davvero per nessuno, fino a che non finirà per tutti”. Il direttore generale dell’OMS Ghebreyesus ha aggiunto che “più aspettiamo a garantire vaccini, test e trattamenti a tutti i paesi, più rapidamente il virus si espanderà, più il rischio delle varianti del Covid crescerà, più aumenterà il pericolo che i vaccini di oggi diventino inefficaci. E più sarà difficile uscirne per tutti i paesi”. 

Allo stesso tempo, è necessario prendere in considerazione il prezzo di vendita dei vaccini, che in molti casi differisce profondamente tra i vari paesi, ad esempio l’Unione Europea e il cosiddetto ‘Sud’ del mondo. Si calcola che il vaccino di AstraZeneca viene pagato dall’UE 2 dollari, mentre, includendo il trasporto, ben 17 dollari a persona in paesi come l’Uganda. Uno studio della Northwestern University (USA) ha calcolato gli effetti sanitari di questa disuguaglianza: se le prime 2 miliardi dosi di vaccino anti-Covid fossero distribuite proporzionalmente in base alla popolazione di ogni nazione, i morti causati dal virus nel mondo diminuirebbero del 61%. Se le dosi sono però monopolizzate da 47 tra i Paesi più ricchi e sviluppati, i decessi si riducono solo del 33%.

Bisogna inoltre ricordarsi di Covax, l’iniziativa internazionale avviata nel giugno 2020 e guidata dall’OMS con l’intento di contrastare il ‘nazionalismo dei vaccini’. Covaz punta infatti a distribuire 2 miliardi di dosi, di cui 1,3 miliardi per 92 Paesi a basso e medio reddito entro la fine del 2021, sufficienti per immunizzare il 20% della popolazione di ogni Stato: operatori sanitari e anziani. L’obiettivo è stato giudicato inadeguato da alcuni esperti, ma non è chiaro se sarà possibile rispettarlo. Dati i ritardi nelle forniture a livello globale, anche Paesi come Canada e Nuova Zelanda hanno chiesto di ricevere i vaccini da Covax. Molte nazioni a basso e medio reddito hanno comunque cercato accordi con il colosso farmaceutico Big Pharma, ottenendo finora solo il 32% della fornitura globale, per coprire quella che invece è un’area del mondo dove vive l’84% della popolazione.

Insomma, possiamo dire che tra interessi economici e politici che prevaricano sull’etica solidale, non sarà certo un’impresa facile garantire una distribuzione equa in quantità e in qualità di qualcosa di così fondamentale come questo vaccino per sopravvivere e tornare ad una normalità che sembra perduta. 

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