Il tema dell’aborto è tornato ad essere ampiamente discusso negli ultimi tempi. Tra gli orrori dei cimiteri di feti sepolti con lapidi che riportano i cognomi delle madri e il recentissimo passo indietro sulla questione in Polonia, la situazione a livello globale è preoccupante. Il diritto ad un aborto sicuro e regolamentato è infatti una delle più grandi conquiste raggiunte dalle donne per le donne nel corso degli anni, grazie all’azione del movimento femminista.
Infatti questo autunno, la denuncia su Facebook di una donna residente a Roma ha portato la luce su una pratica che pare vada avanti da vent’anni a questa parte: nel 1999 l’associazione di volontariato Difendere la vita con Maria è tra le prime ad iniziare a stringere accordi con aziende ospedaliere e Comuni riguardo a quelli che la legge definisce “prodotti abortivi”, cioè ciò che resta in seguito a un aborto (terapeutico o spontaneo) ed è proprio questa ad istituire il primo cimitero per feti in Italia, il tutto nella legalità. Si approfitta di alcune norme non troppo severe riguardanti lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri e la sepoltura, come ad esempio l’Art. 7 del Regolamento della Polizia Mortuaria del 1990. Insomma tra il sostegno di ASL locali e associazioni pro-life e/o cattoliche, quali la Comunità di Papa Giovanni XXIII, fondata nel ‘68, e la cosiddetta Armata Bianca, improntata sulla ‘cura spirituale dei bambini’, della volontà della donna poco importa. Il rito funebre viene celebrato come una cerimonia religiosa in piena regola, con tanto di carro funebre, lettura delle Sacre Scritture, benedizioni e preghiere; inoltre sulla lapide sono riportati il nome ed il cognome della madre e la data in cui è stata effettuata la procedura abortiva, tutto ad insaputa della donna in questione. I casi eclatanti che sono venuti fuori nell’ultimo periodo riguardano nello specifico Roma prima e Brescia poi, ma il fenomeno è sicuramente diffusissimo e, per quanto legale, è altamente discutibile dal punto di vista etico e del rispetto del diritto alla privacy delle donne che si sottopongono all’operazione. Conviene davvero continuare a dare per scontati basilari diritti umani nel tumultuoso periodo in cui stiamo vivendo?
Personalmente e tristemente, io direi che nulla è inciso nella pietra e che non possiamo permetterci di abbassare la guardia al riguardo, essendo relativamente indietro come Paese anche su altre questioni sociali, come ad esempio la parità di diritti per le persone LGBT+ e di altre minoranze. Dopotutto anche dal punto di vista internazionale la situazione non è rosea: per esempio in quasi tutta Europa l’IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza) è consentita, con più o meno restrizioni, per esempio andando dalla Francia o dall’Italia all’Irlanda, dove l’aborto è legale solo in caso di pericolo di vita della madre, e alla Polonia. In particolare in quest’ultima, sotto la guida di governi di estrema destra e conservatori, nel 2016 c’era già stato un tentativo di far passare un disegno di legge per limitare ancora di più i casi in cui l’aborto è consentito, bloccato tempestivamente dalle proteste dette ‘in nero’, sostenute da organizzazioni a livello internazionale.
Per rifarsi invece agli avvenimenti delle ultime settimane, si può notare come già agli inizi del mese di aprile di quest’anno, il Presidente Duda aveva affermato che “uccidere bambini disabili è semplicemente un omicidio”, e che in caso si sarebbe reso disponibile a firmare una legge al riguardo, affermazione che ha scatenato diverse proteste, sia online sia in piazza a causa della pandemia. Negli ultimi giorni, il 22 ottobre 2020, il Tribunale Costituzionale di Varsavia, che ha come presidentessa Julia Przylebska, figura vicina all’estrema destra che al momento è al governo con Duda (Diritto e Giustizia: PiS), ha dichiarato l’aborto incostituzionale in caso di malformazione del feto, rendendolo dunque legale solo in caso di stupro o di pericolo di vita per la gestante. Dopotutto l’elevata tensione internazionale causata dalla pandemia in teoria non dovrebbe essere un pretesto per portare via tali diritti, così come dovrebbe essere impensabile che ci siano tali mancanze di rispetto nei confronti della decisione di una donna di sottoporsi ad una procedura delicata, sia dal punto di vista fisico che psicologico, come l’aborto, osservando il fenomeno dei cimiteri di feti qui in Italia.
Questi recentissimi sviluppi sul tema spinoso come quello dell’IVG fanno sicuramente riflettere su come davvero possa bastar poco per perdere dei diritti che noi consideriamo assimilati, per cui le nostre madri e nonne hanno combattuto in passato, e per cui pare che dobbiamo combattere ancora adesso.
A cura di Francesca Mediati