Quest’oggi gli studenti del Miche si sono riuniti in assemblea per parlare del conflitto israelo-palestinese, che da più di un anno devasta il popolo e il territorio della Palestina. Già rischioso, come chiunque può immaginarsi, anche solo accennare a un tema del genere in un’assemblea studentesca: ma la nostra scuola, e così i suoi studenti, è solita prendersi dei rischi. E, data questa premessa, possiamo dire con certezza che i peggiori presagi si sono tramutati in realtà: quella che avrebbe dovuto essere un’occasione di confronto da cui tutte le parti traessero qualcosa si è dimostrata prova che ancora moltissime persone non sono né disposte né pronte al dialogo con chi la pensa diversamente da loro.
Prima che alcuni inizino a conteggiare gli insulti da riservarmi, vorrei chiarire che in quest’articolo non esporrò la mia opinione sul tema di dibattito, né scriverò un attacco dettato da risentimenti o opinioni personali nei confronti di alcuni dei presenti all’assemblea; che senso avrebbe? Piuttosto, preferisco riflettere sul fatto che un’opinione, che sia condivisibile oppure no, può prendere molte forme diverse in base a come viene pronunciata. Dentro a una mente confusa è un insieme di parole ingarbugliate, mentre da un animo irato questa si manifesta sempre e solo come un insulto. La rabbia da sola è perdonabile e come essa l’indignazione. Ma darle spago o, ancora peggio, libero arbitrio su ciò che esce dalle nostre bocche è irriverente e, fondamentalmente, anche inutile. Così anche le idee più giuste perdono il loro significato e lasciano dietro di sé l’odio che trovano.
Sinceramente, confesso di non concepire come si possa preferire lo scontro al confronto, vista l’ingiustizia che pervade il mondo in cui viviamo e che tutti, chi più chi meno, in qualche modo hanno il desiderio di contestare. Sarebbe da stupidi credere che chi ha un’opinione opposta alla propria sia completamente estraneo al concetto di giustizia, che per forza questi desideri solo morte e rovina. Forse è così, ma è alquanto probabile che non se ne renda nemmeno conto. Ritrarsi o addirittura opporsi al confronto, a parer mio, può voler dire solo una cosa: paura di mettere in discussione i propri valori. Quanto sarebbe facile la vita se tutti stessimo ben rinchiusi e immobili nella nostra scatola cranica! Ahimé, l’evoluzione ci ha reso obbligati alla convivenza con gli altri. Talvolta è necessario essere tolleranti anche di fronte a chi ci fa violenza; detto ciò, credo che alla tacita sopportazione sia sempre preferibile il dialogo, pacifico e rispettoso nei confronti dell’interlocutore.
Facendo ritorno, dopo questi due paragrafi che sembrano proporsi come insegnamenti socratici alla convivenza civile, al nostro contesto quotidiano e scolastico, mi piacerebbe chiedere a tutti i lettori se hanno trovato più interessante un confronto unilaterale, uno scontro che di civile non aveva neanche le sembianze, o invece un dialogo tra due persone che, nonostante le divergenze, hanno fatto del loro meglio per mettere in discussione l’uno la tesi dell’altro mantenendo toni rispettosi.
Altrettanto deludente è stato vedere la tanto conclamata libertà di espressione così presa a schiaffi nel nome della democrazia; sia nel mentre sia a posteriori di questo dibattito si è esponenzialmente diffuso l’uso di termini usati impropriamente, da ‘partigiano’ a ‘resistenza’, da ‘pace’ a ‘libertà’, privati della loro logica e della loro storia fino a diventare strumenti di quella che somiglia in ogni modo alla propaganda governativa. Anche tralasciando e omettendo l’incoerenza, l’ipocrisia e l’inaccuratezza storica che hanno fatto di sfondo alla nostra assemblea di oggi, mi sembra evidente che non tutti gli studenti e non tutto il Miche avrebbe voluto che un momento di confronto prendesse un tale risvolto. Nel bene e nel male, la democrazia è proprio questo, un miscuglio eterogeneo di opinioni contrastanti; e sì, è antidemocratico spacciare la mentalità di pochi come la verità di tutti.
E’ stato un peccato vedere un’opportunità talmente rara fatta a brandelli, e per quale motivo? Mentre tutti voi, lettori, vi accingete a rispondere, io vi faccio anche un’altra domanda: alla fine dei conti, chi ha vinto?
A cura di Agnese Tozzi