«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Recita così l’articolo 21 della Costituzione italiana, sancendo un principio che, a fatica, si è fatto strada in Occidente fino a diventare un diritto inalienabile.
Ma tu, caro lettore, io e tutti gli altri, siamo certi di comprenderne il valore? È proprio per questo motivo, per cercare di riflettere in profondità sull’inalienabilità del diritto alla libera espressione, che ho deciso di scrivere questo articolo in modo diverso, come una lettera, nella speranza che il mio messaggio di ribellione del pensiero arrivi a ciascuno di voi, a ciascuno di noi.
Lo scorso 4 aprile è stato approvato il ddl 1660. Se ricordi, ne avevo parlato in un precedente articolo, manifestando il mio rammarico e la mia preoccupazione per un disegno di legge che mi era apparso, sin dal principio, in contrasto con tutto ciò in cui credo. Se sei d’accordo, eviterò in queste righe di tornare sui dettagli tecnici; invece, proverò a parlarti di me, del mio dispiacere, della mia preoccupazione.
Non so te ma, personalmente, non mi piegherò alla folle iniziativa di un governo il cui unico interesse è tenersi al riparo dalle confutazioni, dalle critiche e dai dubbi di coloro che dovrebbe rappresentare, di coloro ai quali dovrebbe garantire, per l’ appunto, libertà. Sai, caro lettore, forse non potremo più manifestare, protestare, dire la nostra. Teoreticamente, se fossero applicate in modo stringente le regole del ddl 1660, anche solo per questo articolo, per questa lettera appassionata che ti invio, potrei rischiare dai 2 ai 6 anni di reclusione. Per fortuna – o purtroppo, se ci rifletto bene, direi che ciò che sto per dire è tragicamente drammatico – le parole dei nostri “rappresentanti” si sono spesso dimostrate vane, inattendibili.
Cosa è – tale è la domanda centrale – la libertà d’espressione?
Questa è uno dei pilastri di una società che vuole dirsi democratica, ed esiste quando i cittadini possono esprimere la propria opinione liberamente, nel rispetto delle altrui libertà e senza andare incontro a censure o, come promette questo assurdo decreto, addirittura minacce di pene del tutto sproporzionate rispetto all’atto che cercano di contenere. Carcere, reclusione, problemi penali, quanto potere ancora vorranno togliere alla nostra possibilità di usare il linguaggio per definirci, per parlare delle nostre aspirazioni come singoli ma, soprattutto, come cittadini?
Ci pensi mai, caro lettore, all’importanza del linguaggio? Rifletti mai su quanto sia fondamentale preservarne la libertà? Pensaci, il linguaggio, per come noi lo intendiamo, è un qualcosa di proprio solo della specie umana, che compete a ognuno di noi, ci rende tutti uguali e, allo stesso tempo, ci differenzia: ciascuno di noi, utilizzando forme espressive a tutti comuni e comprensibili, può arrivare a sostenere le opinioni più disparate e a dare sostanza ai concetti più diversi.
Dobbiamo però considerare che la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero è una conquista piuttosto recente. Non parlo neanche della libertà di espressione, ma anche solo della possibilità, per tutti gli uomini, di utilizzare e far sentire la propria voce. Se ci pensi, caro lettore, fino alla fine dell’Ottocento, intere classi sociali e gruppi di individui erano completamente invisibili e questo perché le loro parole erano inudibili, mute. Il processo che ha portato all’ottenimento di questa meravigliosa possibilità quale la libertà di parola è andato avanti faticosamente, con difficoltà e battute d’arresto fino alla seconda metà del Novecento, e l’articolo 21 da me citato in apertura è la conseguenza, in Italia, di una lotta lunga e, di fatto, mai conclusasi.
La nostra generazione ha avuto il dono di poter dare per scontato qualcosa che, per secoli, non lo è stato: la possibilità di far sentire la propria voce, di gridare contro l’ingiustizia, di manifestare per i diritti che riteniamo non possano esserci tolti. Abbiamo conquistato qualcosa che ci sembra naturale, ma che è del tutto straordinario, pensiamo di poter mantenere questa capacità in modo perpetuo, ma non ci ricordiamo, per esempio, come i Totalitarismi del ‘900 siano andati a smantellare quella libertà, ancor prima che la comunità potesse rendersi conto di cosa stesse perdendo.
Come ci ricorda Massimo Cacciari, «Il linguaggio è la dimora della nostra libertà». Eppure, ancora una volta, senza rendercene conto, questo dono ci sta sfuggendo. Tale «dono supremo della bontà divina», come Dante chiama il linguaggio nel De vulgari eloquentia, è l’arma più forte che possiamo maneggiare. Ce lo dimostra proprio l’approvazione del ddl 1660, talmente importante per questo governo da farla passare d’urgenza, senza l’approvazione del Parlamento.
Forse leggendo il testo del decreto-legge, vedendo nominate categorie sociali e umani dalle quali ti senti distinto, lontano, avrai pensato che questa contro-arma del governo non ti ferirà, avrai pensato che non ti stavano togliendo nulla, ma non è così. Lotta, caro lettore e amico, lotta, collega, combatti per difendere la tua libertà, la mia, quella di tutti noi; solo una comunità dà vita a una democrazia e solo la voce riesce veramente a cambiare la politica.
A cura di Guendalina Lazzeri