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Mario Draghi e il fallimento della politica

 Questo articolo fa parte del numero 24 del MichePost, uscito in formato cartaceo il 19 febbraio 2021


Era una strada buia e impervia quella che l’Italia si accingeva a percorrere dopo le folli e incomprese gesta dell’uomo più odiato del Paese. Matteo Renzi, nel mezzo di uno dei momenti più critici della storia repubblicana, aveva dato luogo a una crisi politica, impensabile in un tempo permeato dalla più grave pandemia dell’ultimo secolo e dall’esigenza di rispondere alle stringenti necessità che il virus richiedeva.

L’impressione generale era che Renzi volesse solo creare disordine, mostrare di esistere, ridimensionare il potere e il prestigio che il Presidente Conte aveva guadagnato, sebbene declamasse ripetutamente che le ragioni della crisi fossero meramente qualitative (Recovery Fund sbagliato, governo immobile, campagna vaccinale mal organizzata, ruolo del Commissario Arcuri ecc.).

Lo sbocco più probabile, secondo i propositi dei partiti e secondo quanto raccontavano i giornali, sembrava la formazione di un terzo Governo Conte, sostenuto dalla stessa coalizione, magari con una maggior presenza e influenza di Italia Viva, ora vero punto d’equilibrio della stabilità dell’esecutivo. Ciononostante, dalle consultazioni con Mattarella e in seguito con il Presidente della Camera Roberto Fico era emerso che Renzi stesse continuando a opporsi e a rendere tutt’altro che facile la creazione un accordo comune per la nascita di un nuovo governo.

La tensione cresceva e l’odio verso l’ex sindaco di Firenze, condiviso da praticamente tutta l’opinione pubblica italiana, si faceva sempre più forte. All’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, Sergio Mattarella, profondamente e visibilmente irritato dai comportamenti dei partiti, affidava allo stimatissimo ex Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, l’incarico di dar vita a un governo di “alto profilo istituzionale”. Uno scenario insospettabile, a lungo ritenuto come il meno probabile da numerosi analisti e osservatori. Eppure, eccolo lì, il miracolo che diventa realtà, l’italiano più trasversalmente apprezzato in patria e all’estero che riceve la guida del proprio Paese, un Paese lacerato da una politica incapace di rispondere alle sfide della pandemia, intento ad attuare strategici giochi di palazzo davanti agli occhi increduli della comunità internazionale.

Mario Draghi, che in passato ha salvato sia l’Italia che l’Europa, che si è distinto per le sue capacità e per la straordinaria lucidità con cui ha sempre affrontato situazioni potenzialmente disastrose, si appresta ora a guidarci nella tempesta. L’Italia ha bisogno di una visione, di scelte che consentano di proiettarla verso il futuro, che fino ad ora l’arido deserto della politica non era stato in grado di garantire. Questa crisi si è paradossalmente trasformata in una eccezionale occasione di riscatto, che le parti politiche dovranno in tutti i modi supportare, anche a costo di essere messe in ombra.

A scapito della travolgente onda di entusiasmo che ha pervaso il dibattito degli ultimi giorni, tuttavia, la decisione di Mattarella nasconde un’amara verità. Draghi, accolto a braccia aperte da praticamente tutti – anche dalla Lega, la peggior destra sovranista ed euroscetticista, che solo fino a poco fa lo riteneva complice di aver massacrato l’economia italiana – appare come l’ultimo, manifesto risultato del fallimento della nostra politica e, poiché essa è diretta espressione della nazione, del fallimento dell’Italia stessa. Il trasversale entusiasmo dei partiti, eccetto chi partito ancora non è (vedi Movimento 5 Stelle), o eccetto chi sta talmente a destra da sbattere il capo contro la nostalgia neofascista (vedi Fratelli d’Italia), è semplicemente l’entusiasmo di coloro che, dolorosamente consci di essere il nulla ma pronti a tutto pur di far valere la propria nullità, si affidano a un presunto deus ex machina per la risoluzione dei problemi che essi stessi avrebbero dovuto risolvere.

L’ex banchiere potrà sicuramente dare una svolta al Belpaese riformandolo e modernizzandolo, ma non potrà certo cambiare la nostra classe politica. Appena quest’esperienza di governo sarà conclusa, e lo sarà più presto di quanto si possa pensare, ci ritroveremo di nuovo punto e da capo. Se andrà bene, come tutti ci aspettiamo e speriamo, Draghi sarà elogiato, ma immediatamente spodestato perché avrà messo da parte il protagonismo dei politicanti. Se andrà male, succederà la stessa cosa perché, al contrario, avrà deluso le aspettative, e i politicanti torneranno sovrani.

Godiamoci dunque questo breve intermezzo, auspicando il primo scenario, così che l’Italia possa riacquisire (ma le ha mai davvero acquisite?) stabilità e autorevolezza. Sì, godiamocelo, e cerchiamo di dimenticare, per non esplodere in un impeto d’ira, che se Mario Draghi è il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana dobbiamo anche ringraziare lui, quell’insopportabile artefice e demolitore di governi. Sì, proprio lui, Matteo Renzi.

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