Di pandemia in pandemia: quel morbo che cambiò la storia

Pandemia: volenti o nolenti, siamo stati costretti, dall’inizio dell’emergenza sanitaria, a trattare molte volte con questa parola e con la nuova normalità che essa comporta. Una pandemia è propriamente un’epidemia con tendenza a diffondersi rapidamente, attraversando Paesi e Continenti, come l’epidemia causata dalla diffusione del Covid-19. Spesso, discutendo dell’attuale situazione pandemica, ci focalizziamo sul presente, sulle conseguenze a breve termine che fattori come l’aumento o la diminuzione della curva dei contagi, una stretta sulle misure restrittive o un allentamento di quest’ultime potrebbero avere nell’immediato sulle nostre vite, tralasciando le conseguenze a lungo termine che, inevitabilmente, comporterà. A questo proposito l’economista Andrea Brandolini sottolinea l’impatto catastrofico che sta avendo la Pandemia sul tasso di occupazione e sul reddito familiare. Tristi dati che gravano maggiormente sulle persone che già prima dell’emergenza vivevano in situazioni disagiate, lavoratori con contratto a termine e famiglie con redditi bassi. Dunque la pandemia ha evidenziato ulteriormente le differenze sociali accrescendo le divisioni nella società. Ma non solo, Brandolini sottolinea anche come tra gli impiegati nei settori essenziali, dunque coloro che non hanno subito riduzione del reddito, ci siano notevoli differenze in merito all’esposizione al rischio contagio tra un settore e un altro. A lungo termine l’emergenza sanitaria, secondo Brandolini, potrebbe porre un freno al fenomeno della globalizzazione, riducendo la dipendenza dall’estero dell’Italia, e, in un prossimo futuro, portare ad un avvento delle tecnologie digitali, rivelatesi fondamentali in questo periodo.

Si tratta, però, solo di previsioni, quando e come avverrà e cosa implicherà la fine della Pandemia a nessuno è noto con certezza. Certo è che non se ne andrà senza lasciare tracce di sé, come del resto le precedenti Epidemie che, in qualche modo, hanno segnato profondamente il corso degli eventi. Basti pensare alle conseguenze socio-politiche che comportò, ad esempio, la Peste di Giustiniano, epidemia di peste bubbonica giunta dall’Africa Centrale, probabilmente dall’Etiopia, portata da un’imbarcazione che risaliva il corso del Nilo. La Peste è una zoonosi, una malattia che passa dall’animale all’uomo, che si può trasmettere sia in modo diretto, dunque tramite il contatto con roditori infetti, che indiretto, mediante le pulci di cui questi roditori sono portatori. I principali sintomi della Peste sono febbre, vomito, macchie scure e livide ma soprattutto bubboni doloranti di colore nero in corrispondenza degli snodi linfonodali. L’epidemia raggiunse Gaza e Alessandria d’Egitto nel 541 a.C. e nell’anno successivo la Siria, dalla quale giunse a Costantinopoli, dove si diffuse con maggiore rapidità e mietette il maggior numero di vittime.

Le principali fonti storiche di questo periodo sono gli scritti di Giovanni da Efeso e di Procopio di Cesarea, che riportano dati tragici, sebbene non concordanti, in merito al numero dei morti e descrivono una Costantinopoli deserta dopo la fine dell’epidemia. Le parole di Procopio sono sufficienti a darci una chiara dimensione della portata della pestilenza che si abbatté sulla città, quest’ultimo infatti affermò: “Durante questo periodo vi fu una pestilenza, per cui la razza umana è stata certamente prossima all’annientamento”. Attualmente si stima che la Peste di Giustiniano, ultimo imperatore dell’Impero Romano d’Oriente di madrelingua latina, sia stata la causa della morte di circa il 50/60% della popolazione di Costantinopoli. Sebbene alcuni autori abbiano sottovalutato le conseguenze di tale tragedia sappiamo di per certo che il decremento della popolazione fu tale da compromettere gravemente il sistema economico. Procopio denuncia una diminuzione delle dimensioni del Solido, moneta dell’Impero Romano d’Oriente introdotta da Costantino I, allo scopo di risparmiare oro; stesso trattamento pare fu riservato anche al Follis, altra moneta imperiale dell’epoca. Inoltre l’amministrazione dell’Impero fu messa in seria difficoltà a causa della mancanza di mano d’opera dovuta al decremento demografico che la rese rara e costosissima. Oltre a ciò pare che molti commercianti si videro costretti a chiudere la propria attività, causa le difficoltà finanziarie. Dal punto di vista politico, invece, indubbiamente, la crisi favorì esponenzialmente i popoli che premevano su Bisanzio, l’esercito fu decimato. La pestilenza del 543 a.C. fu seguita, inoltre, da nuove ondate minori che minarono ulteriormente l’apparato politico e militare dell’Impero.

Gli storici sostengono che la Peste, insieme alla Guerre Romano-Persiane, ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione dell’Islam. Indubbiamente, però, nell’immaginario collettivo la pestilenza per eccellenza è la Peste Nera, o Morte Nera, pandemia quasi certamente di Peste Bubbonica che si abbatté sull’Europa verso la fine del 1347. In questo caso si pensa che la pestilenza sia giunta in Europa seguendo le rotte carovaniere. Nel 1347, infatti, raggiunse Caffa, ricca colonia commerciale della Repubblica di Genova, da dove, attraverso gli intensi scambi commerciali, si propagò in tutto l’Oriente bizantino e mussulmano e successivamente in tutto il continente europeo, già messo in ginocchio da precedenti carestie. Le popolazione ebbe le più disparate reazioni alla Pandemia. Da una parte c’era chi abbandonava i centri urbani, fuggendo nelle campagne per preservarsi dal contagio; come i tre ragazzi e le sette ragazze narrati da Boccaccio nel Decameron, raccolta di cento novelle raccontate da dieci ragazzi, fuggiti in campagna durante la Peste Nera, nell’arco di dieci giorni, il cui tema era scelto dal re o dalla regina del giorno. Dall’altra c’era chi si dava ad una vita sfrenata, alla disperata ricerca di godimenti immediati, vivendo ogni giorno come se fosse l’ultimo. Gli ecclesiastici vedevano nella Peste un castigo divino; a questo proposito Papa Clemente VI indisse un pellegrinaggio straordinario verso Roma e le città, in particolar modo quelle tedesche, si riempirono di flagellanti, uomini che avevano un peccato da espiare che andavano per le vie cantando e flagellando violentemente il proprio corpo difronte alla folla. I medici, invece, attribuivano la causa della Peste alla “corruzione delle aere” che, secondo questa teoria, romperebbe l’equilibrio degli umori nel corpo umano, accentuata da una particolare congiunzione astrale. Le conseguenze della Peste Nera furono devastanti, le vittime sono ammontabili circa ad un terzo della popolazione europea del tempo. In questo periodo, inoltre, si verificarono numerosi massacri nei confronti degli “untori”, individui considerati corrotti moralmente, accusati ingiustamente di diffondere volontariamente il morbo. Nella maggior parte dei casi questi episodi di odio e violenza avvennero alle spese di Ebrei, si può dire, dunque, che la Peste accelerò la diffusione dell’antisemitismo. Alla Pandemia seguì un decremento demografico tale da rendere spopolati interi villaggi e, causa la mancanza di braccianti, incolte vastissime aree. Le diffuse insurrezioni popolari, inoltre, denotano un forte malessere generale.

Nonostante la difficilissima situazione politica, economica e sociale, a seguito della Pandemia si registrano anche dati positivi. La popolazione si rimescolò, andando a ripopolare i villaggi abbandonati, le colture si diversificarono, il costo della manodopera salì. In generale si registrò, dunque, un miglioramento delle condizioni di vita per buona parte della popolazione. Questa fase di passaggio costituisce la cosiddetta ”crisi del Trecento che, secondo alcuni storici, indusse la società alla rivalutazione dei radicati valori medievali, avvicinandola al Rinascimento. La Peste Nera, dunque, secondo molti, funse da spartiacque nella storia europea. Tuttavia l’epidemia più vicina a quella attuale, non solo dal punto di vista cronologico, è l’Influenza Spagnola, epidemia legata a un virus influenzale che, tra il 1918 e il 1920, uccise tra i 50 e i 100 milioni di persone in tutto il mondo; il direttore aggiunto dell’Oms Ranieri Guerra ha addirittura definito le due pandemie “identiche”. Indubbiamente il delicato periodo storico, caratterizzato dalla tragedia della Prima Guerra Mondiale, nel quale si manifestarono i primi casi di Spagnola contribuì esponenzialmente alla diffusione del contagio. I primi casi si registrarono nel 1918 ma generarono pochi allarmi. Nonostante i molti infetti il tasso di mortalità era bassissimo dunque non attirò l’attenzione dell’opinione pubblica, fatta eccezione che in Spagna, Paese non coinvolto nel primo conflitto mondiale, dove la stampa, non sottoposta ad alcun tipo di censura, ne parlò abbondantemente a seguito del contagio del re, da qui il nome “Influenza Spagnola”. Nonostante trai pochi morti molti fossero giovani adulti sani la tendenza fu quella di minimizzare il pericolo, anche a causa della frequente diagnosi errate di meningite a casi di Spagnola. A luglio il virus era già un lontano ricordo, una rivista medica britannica addirittura sentenziò con fermezza la fine dell’epidemia, che, in realtà, visto ciò che accadde nei mesi successivi, non era neanche iniziata. Il 7 settembre 1918 l’ospedale della base di addestramento di Camp Devens, nei pressi di Boston, ricoverò un soldato al quale venne diagnosticata una meningite. Nei giorni seguenti molti suoi commilitoni furono ricoverati con la stessa diagnosi che, successivamente, venne mutata dai medici in influenza. Si arrivarono a ricoverare 1543 soldati con l’influenza in un solo giorno. Quest’esplosione di casi di Spagnola portò il sistema ospedaliero al collasso. Era appena iniziata la seconda ondata. Nonostante l’oggettiva gravità della situazione il Governo, allo scopo di tenere alto il morale per supportare lo sforzo bellico del Paese, iniziò a mentire e a censurare i dati allarmanti che provenivano dagli ospedali. Nel frattempo, però, sempre più persone si ammalavano e morivano nell’arco di poche ore e le città si svuotavano di cittadini e si riempivano di bare. Nonostante le menzogne dei funzionari pubblici, dunque, la popolazione cominciò a rendersi conto che non si trattava di una semplice influenza come si voleva far credere. Così la fiducia dei cittadini nei confronti del Governo svanì completamente, lasciando spazio a egoismi e psicosi. All’improvviso, però, l’Influenza sparì, o meglio, ci fu anche una terza ondata ma il virus, che aveva perso la capacità di invadere i polmoni, era decisamente meno letale, e finì per trasformarsi in una comune influenza stagionale. Nonostante l’altissimo numero di decessi, in particolare fra i giovani, più esposti al contagio nelle trincee, che andò ad aggravare ulteriormente il tragico bilancio della Prima Guerra Mondiale e la difficile situazione politica, economica e sociale di allora, complice l’euforia per la vittoria della Guerra, ben presto la normalità tornò negli Stati Uniti. Insieme alla Grande Guerra, però, la Pandemia fece crollare l’aspettativa di vita. In compenso lasciò un importantissimo insegnamento ai politici di ogni tempo: dire sempre la verità.

Difficile da dirsi quale sarà l’eredità che lascerà il Covid. Forse la fine della Pandemia segnerà l’inizio di una profonda crisi della società, dove crisi non significa necessariamente decadenza bensì cambiamento. Forse capiremo finalmente la necessità di una classe politica forte e qualificata? Impareremo che individualismo, egoismo e menefreghismo non portano molto lontano? I politici apprenderanno che tagli a settori come sanità e istruzione non solo non costituiscono una valida forma di risparmio ma rendono i Paesi incapaci di rispondere prontamente a situazioni emergenziali? Chissà, “ai posteri l’ardua sentenza”.

A cura di Alessia Prunecchi

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