La Cina sta uccidendo e torturando un milione di persone per la loro etnia

Sotto i nostri occhi un genocidio trai più devastanti della storia, ma i giornali non ne parlano, la televisione non ne accenna e il mondo non fa niente per fermarlo. Le fonti sono incerte e spesso carenti, ma ciò che è certo è che la storia si sta ripetendo, proprio in questo momento, dall’altra parte del mondo.

Insorgere del problema e importanza dei social
Nel 2018 sono sorte numerose polemiche riguardo i campi di concentramento uiguri, su cui la Cina ha sempre imposto un opprimente silenzio e una scrupolosa censura. È stato grazie a un’inchiesta del quotidiano online “Bitter Winter” che il mondo è venuto a conoscenza degli orrori subiti da questa etnia di religione musulmana, stanziata nello Xinjiang. A giocare un ruolo fondamentale nella faccenda, però, sono stati proprio i social, in particolare TikTok, ove, ormai l’anno scorso, una ragazza ha inscenato un finto tutorial di trucco, che aveva il solo scopo di eludere la censura e arrivare in ogni angolo del mondo per diffondere informazione sulla faccenda. “Non possiamo permettere che accada ancora, non possiamo restare in silenzio mentre davanti ai nostri occhi avviene un altro olocausto. Le impressionanti parole della TikToker, in seguito rimossa dall’app per “errore”.

Chi sono gli Uiguri
Per comprendere al meglio cosa sta succedendo dall’altra parte del mondo dobbiamo prima sapere chi siano gli Uiguri: si tratta di un’etnia di religione islamica che convive con i cinesi Han nello Xinjiang, Cina nord-occidentale. Le prime repressioni sono cominciate nel 2001 (o meglio si sono intensificate), con la lotta globale al terrorismo islamico, ai danni di popolazioni come gli Uiguri, da decenni protagoniste di movimenti indipendentisti e separatisti.

Nel 2009 centinaia di persone sono morte durante una manifestazione degenerata in una serie di scontri tra le due etnie presenti sul posto e la polizia. Da quel momento in poi le oppressioni sono andate a peggiorare.

I campi di concentramento e le dichiarazioni della Cina
Nonostante i video in rete ritraenti campi di concentramento e le torture cui vengono sottoposte le vittime, la Cina ha fatto di tutto per cercare di censurare la questione: Xi Jinping, segretario generale del Partito Comunista Cinese, ha inizialmente negato l’esistenza delle suddette strutture, per poi correggersi e definirle dei programmi di rieducazione e formazione professionale “volontaria”, col solo scopo di sradicare il terrorismo e alleviare la povertà. Tali affermazioni, però, non coincidono coi documenti trafugati e diffusi dai giornali, che definiscono tali avvenimenti la più grande incarcerazione di una minoranza etnico religiosa dai tempi della seconda guerra mondiale (si stimano più di un milione di Uiguri internati nei lager).

Grazie alle riprese satellitari si stima l’esistenza di quasi 400 campi di internamento, che vanno dai campi di rieducazione minore fino a vere e proprie prigioni fortificate; si immagina che i detenuti siano costretti ai lavori forzati, poiché la maggior parte di queste strutture si trova nei pressi di fabbriche. I lager sono destinati a “musulmani ribelli” o “pericolosi”, che vengono deportati senza processo e per motivi spesso futili, quali il possedere il corano, pregare regolarmente, avere la barba o ricevere messaggi da parenti all’estero. Stando a quanto riferito i prigionieri sono sottoposti a un controllo 24 ore su 24, vengono costretti a rinnegare le proprie idee o fede, compiere pratiche vietate nella religione islamica (quali bere alcolici o mangiare maiale) e a elogiare il Partito Comunista; sono inoltre vittime di violenze fisiche e mentali, oltre che di stupri e torture.

L’importanza delle grandi marche
L’australian Strategic Policy Institute, nel report “Uiguri in vendita”, ha identificato almeno 27 fabbriche dove sono sati deportati i detenuti, e queste fabbriche riforniscono almeno 83 marchi internazionali. Fra queste spiccano Samsung, Nike, BMW, Volswagen, Apple e molte altre ancora.

A cura di Palmira Virdis

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