L’8 marzo, a partire dalle nove in piazza Massimo d’Azeglio, saranno alte le voci per le strade di Firenze, arrabbiate, disgustate ed intenzionate a continuare a gridare tutto l’anno, l’anno successivo e quello dopo ancora. Saranno grida stanche dell’ipocrisia di chi continua a non vedere, di chi fa finta di non accorgersi che ciò che fa scaturire quella rabbia è reale. Ipocrisia secondo cui la disuguaglianza e violenza di genere, l’oggettificazione della donna, la supremazia maschile e il sessismo a cui gli uomini vengono educati e a cui le donne devono sottostare diventano un vago ricordo di una data obbligatoria. Saranno grida stanche delle continue notizie di molestie, violenze e femminicidio, raccontate in tv o dalla compagna di classe.
Ed ogni giorno di più si va a strumentalizzare tutto questo, come l’apparato giornalistico che lo sfrutta per alimentare lo scalpore di qualche settimana e cavalcare quell’onda che ha l’unico scopo di alzare la risposta mediatica. Tutto ciò viene inoltre dipinto come episodio e caso isolato, per sensibilizzare un minimo gli animi di chi si trova per caso a leggere quell’articolo, screditando la lotta transfemminista. Non è la sensibilizzazione quello che vogliamo, ma la realizzazione del fatto che si sta parlando di un fatto sistematico, una reazione, partecipazione alla lotta continua. In quanto donne sin da bambine ci propinano canoni patriarcali, abituandoci ad una vita che si pone a servizio degli uomini e dei loro voleri.
Ci interfacciamo da subito con gesti di abuso fisico, psicologico, intellettuale: ci abituiamo a commenti e comportamenti normalizzati dalla società, a dei modelli da seguire che non ci rappresentano e anzi ci mettono in competizione per arrivare a degli ideali di bellezza, intelligenza, amore, rispetto, che sono lungi da quelli reali. Ci insegnano che la realizzazione di una donna avviene solo quando questa decide di vendersi, di piegarsi a canoni di bellezza irraggiungibili e seguire ciecamente una strada tracciata da altri uomini, prendendoli come esempio e riferimenti. Questo è ciò che ci viene mostrato: la Meloni che pretende di farsi chiamare “Presidente” e donne milionarie che vendono anima e corpo sui social media.
A scuola dovrebbero insegnarci a relazionarci con il singolo e con la collettività, ma diviene solo un altro luogo in cui siamo vittime di abusi e violenze, dal divieto di vestirci come vogliamo a comportamenti inappropriati da parte di compagni e professori. E questo avviene anche nelle case e sui posti di lavoro, da parte di uomini comuni, bianchi, etero, padri di famiglia e figli di papà, sconosciuti che si sentono legittimati a dare pareri non richiesti, fare apprezzamenti non graditi, conosciuti che manipolano, ricattano, controllano.
Ma in tutto questo i piani alti e chi dovrebbe proteggerci non fanno altro che alimentare questo sistema malato, divertendosi a trasformare la politica in salotti borghesi quando noi donne non possiamo neanche essere libere di decidere cosa fare del nostro corpo, e anzi dobbiamo vivere nella costante paura di uscire di casa la sera o salire su un bus. Potremmo continuare a parlare ancora, ancora e ancora: prendendo per esempio chi mettono, in televisione, a parlare di aborti, i soliti conservatori che non sanno minimamente cosa voglia dire tenere un figlio in grembo che nella maggior parte dei casi è il frutto di una violenza.
Ci discostiamo da questo femminismo di facciata, dai discorsi ipocriti preparati a tavolino per farsi belli l’8 marzo, da questo tipo di emancipazione falsato e che non fa altro che rendere ancora più palese quale rimane il ruolo investito da noi donne in una società patriarcale.
Scenderemo in piazza questo 8 marzo con la rabbia che solo noi donne possiamo comprendere, con la rabbia che ci spetta nei confronti di una società che reprime le nostre libertà, ignora le nostre richieste e ci vede sempre e solo inferiori. La decostruzione maschile e la lotta al patriarcato sono processi lunghi, che vanno avanti da secoli, e noi faremo in modo che non si limiti alle ricorrenze che questo marcio sistema ci concede.
A cura di Collettivo SUM