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“Oltre il ponte”: la Resistenza attraverso le parole di Calvino

Da quasi ottant’anni, nel giorno del 25 Aprile festeggiamo la liberazione d’Italia dal governo fascista e dall’occupazione nazista del Paese. Sarebbe doveroso intraprendere un excursus storico esatto circa il 25 Aprile 1945, tuttavia informazioni di questo genere sono reperibili facilmente sui manuali e online, e, tra gli infiniti fiumi di parole già spesi, non saprei come distinguermi in questo frangente. Dunque, in occasione dell’anniversario della Resistenza, preferisco deviare verso un altro mezzo di divulgazione: la musica.

Italo Calvino, membro della Resistenza e noto scrittore del secondo dopoguerra, nel 1958 scrive il testo di Oltre il ponte (musicato poi da Sergio Liberovici), una canzone destinata al progetto di cantautorato popolare “Cantacronache”. Il testo di Calvino rievoca l’esperienza resistenziale in maniera esplicita, e finge che la persona loquens sia un uomo che a vent’anni prese parte alla lotta partigiana, e che ora vuole raccontarla ad una giovane ragazza (O ragazza dalle guance di pesca/ o ragazza dalle guance d’aurora/ io spero che a narrarti riesca/ la mia vita all’età che tu hai ora).

Chi non vuole chinare la testa/ con noi prenda la strada dei monti: così si conclude la seconda strofa, che costituisce una preziosa testimonianza della realtà del tempo. La strada dei monti, ossia l’esperienza partigiana, costituiva, infatti, l’unica alternativa di azione per chiunque non si fosse trovato d’accordo con gli ideali e l’operato del regime.

Segue poi il celeberrimo ritornello: Avevamo vent’anni e oltre il ponte/ oltre il ponte ch’è in mano nemica/ vedevam l’altra riva, la vita/ tutto il bene del mondo oltre il ponte. In soli quattro versi Calvino riesce a mettere in rilievo due elementi fondamentali, che diventano quasi interdipendenti in tale contesto : tragicità e speranza. La scelta di intraprendere la strada dei monti è evidentemente dettata dalla speranza, che è allo stesso tempo capace di sollevare gli animi di giovani e adulti che si interfacciano con il clima tragico della Seconda guerra Mondiale.

Non è detto che fossimo santi/ l’eroismo non è sovrumano/ corri, abbassati, dai corri avanti!/ ogni passo che fai non è vano: nel passaggio emerge uno dei tratti più interessanti (e opinabili) sostenuti da Calvino, ossia la presenza di contraddizioni nell’operato dei partigiani. Infatti tale esperienza sarebbe, secondo l’autore, da condannare sul piano comportamentale, sebbene chiaramente da elogiare sul piano politico e morale. 

Ormai tutti han famiglia hanno figli/ che non sanno la storia di ieri/ io son solo e passeggio fra i tigli/ con te cara che allora non c’eri/ E vorrei che quei nostri pensieri/ quelle nostre speranze di allora/ rivivessero in quel che tu speri/ o ragazza color dell’aurora: così Calvino decide di concludere la canzone, con parole che anticipano un concetto cardinale che oggi definiremmo memoria collettiva. I soprusi, le ingiustizie e le battaglie che i nostri partigiani hanno fronteggiato devono essere ricordate e devono permanere nella memoria di tutti.

E a maggior ragione quest’anno, considerando gli orientamenti politici che governano il nostro Paese oggi, festeggiare il 25 Aprile quest’anno assume un significato diverso; oltre a celebrare la Resistenza, la liberazione dell’Italia e l’antifascismo, dobbiamo lottare per evitare che la storia si ripeta, e per abbattere l’ignoranza e gli ideali che oggi sono alla base dei partiti che guidano il Paese.

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