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Non è colpa nostra se un dittatore fascista ha invaso l’Ucraina

 Questo articolo fa parte del numero 27 del MichePost, che sarà dedicato all’Ucraina e uscirà prossimamente


Lo scorso 24 febbraio Vladimir Putin, all’alba dell’invasione dell’Ucraina, ha tenuto un discorso alla nazione in cui, tra le altre cose, ha detto: «L’alleanza del Nord Atlantico, nonostante tutte le nostre proteste e preoccupazioni, è in costante espansione. La macchina da guerra si muove e si avvicina sempre di più ai nostri confini». La propaganda russa, quindi, ha individuato la NATO come la causa principale della guerra in corso. La stessa propaganda, insomma, che chiama “operazione militare volta a denazificare l’Ucraina” un’aggressione brutale nei confronti di un paese libero, presieduto da un uomo di origini ebraiche, Volodymyr Zelensky, eletto democraticamente dalla maggioranza della popolazione.

Negli ultimi due mesi abbiamo potuto osservare, nei talk-show del nostro paese, numerosi e improvvisati opinionisti che, pur condannando formalmente l’invasione, si sono poi allineati alle parole di Putin, sostenendo che lui, un dittatore spregiudicato al potere da 22 anni, avesse ragione ad attaccare l’espansione a est della NATO: un modo subdolo per dare la colpa all’occidente e assolvere Putin dalle proprie responsabilità atroci. Le televisioni italiane, che sono viste da decine di milioni di persone, hanno dato voce a posizioni controverse, se non addirittura a falsità dimostrabili, in nome del pluralismo e della libertà di espressione, come se pluralismo e libertà di espressione volessero dire dare in pasto alle masse – perdonate l’infelice ma necessario francesismo – qualsiasi stronzata possibile. Fenomeno non diverso, d’altra parte, dai no-vax e no-green pass che si azzardavano a raccontare balle colossali in mondo visione, con il consenso compiaciuto dei conduttori televisivi che li ospitavano. Proviamo quindi a mettere insieme un po’ di cose per dare un quadro della situazione e smontare le fesserie che girano sistematicamente sui media.

Che cos’è la NATO
La NATO, che sta per North Atlantic Treaty Organization, “Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord”, è un’alleanza militare istituita nel 1949 da 12 stati occidentali, guidati dagli Stati Uniti, con l’obiettivo di garantire la difesa comune dei suoi membri dalle eventuali mire espansionistiche dell’Unione sovietica. Quest’ultima, nel 1955, le oppose il Patto di Varsavia, un’analoga alleanza con alcuni paesi dell’Europa orientale. All’inizio degli anni Novanta, con il crollo del muro di Berlino, la fine della Guerra fredda e la caduta dell’Unione sovietica, la NATO si trovò a dover ripensare il proprio ruolo: superata l’impronta anticomunista, continuò a sostenere l’importanza di una linea strategica comune non solo per difendersi dalle aggressioni, ma anche e soprattutto per salvaguardare le libertà democratiche, evitare instabilità internazionali e mantenere la pace nel limite delle possibilità.

L’espansione a est
Con il passare degli anni, la NATO si è progressivamente estesa, fino a raggiungere, nel 2020, 30 stati membri. Ciò non significa che la sua espansione sia esclusivamente frutto della sua volontà: nessuno obbliga gli stati a farne parte, e sono loro stessi, con le proprie opinioni pubbliche e i propri governi eletti democraticamente, a chiederlo esplicitamente; l’Alleanza valuta poi la proposta, chiede il raggiungimento di vari standard e, se concorde, accetta all’unanimità l’adesione.

È in questo senso che va letto l’inglobamento degli stati che prima costituivano il Patto di Varsavia, come la Polonia, la Repubblica Ceca, l’Ungheria, l’Estonia, la Lettonia o la Romania. Senza dubbio come il tentativo dell’occidente di allargare la propria sfera d’influenza, ma altrettanto certamente come la volontà di determinati paesi di affrancarsi da un vicino che sentivano totalitario e violento, la Russia, per rifugiarsi sotto la tutela di un blocco che percepivano libero e sicuro, l’occidente. L’articolo 5 della NATO, infatti, stabilisce che un attacco a un suo singolo membro corrisponde a un attacco all’intera alleanza, che tutta insieme dovrà rispondere a dovere. Gli stati dell’Europa orientale, entrando nella NATO, avrebbero scongiurato eventuali future invasioni da parte della Russia, con tutte le drammatiche conseguenze che ne sarebbero seguite.

Il valore politico
Nel corso del tempo, dunque, il significato della NATO si era consolidato in una dimensione politica e simbolica, ancor prima che difensiva e militare. Come spiega Mario Del Pero, professore ordinario di Storia internazionale all’università di Parigi Sciences Po, «La NATO aveva rassicurato le élite filo-occidentali dei Paesi europei dell’impegno statunitense a sostenerle e proteggerle; le aveva legittimate di fronte alle proprie opinioni pubbliche rispetto alla loro capacità di essere partner e interlocutori privilegiati del protettore americano; ancorandole allo spazio securitario, economico e culturale atlantico ne aveva aiutato il consolidamento democratico laddove questo appariva ancora fragile». «L’allargamento», continua Del Pero, «costituì uno dei pilastri fondamentali della dottrina di Clinton e del suo primo consigliere per la Sicurezza nazionale Anthony Lake, che in un celebre discorso del 1994, e in formale antitesi ai sostenitori del “post-contenimento”, parlò del passaggio da una strategia del contenimento a una dell’allargamento: della democrazia; del libero mercato; di quella pace e di quella stabilità che solo le garanzie securitarie statunitensi, e quindi in Europa la NATO, potevano offrire».

Il valore politico dell’alleanza è reso ancora più evidente dalla sua presenza in Europa, che dalla fine della guerra fredda si è ridotta drasticamente: al loro massimo storico, nel 1957, gli americani avevano 430mila soldati nel nostro continente; nel 1989 ne avevano 315mila; nel 2010 65mila; nel 2021, l’anno scorso, solo 63mila. In nessun paese dell’Europa centrale o orientale, inoltre, sono stati installati missili balistici della NATO terra-terra, cioè atti a colpire obiettivi sul suolo nemico. Ce ne sono alcuni in Romania e in Polonia, ma solo a scopo difensivo, «disegnati per distruggere in volo missili o aerei nemici che invadono il territorio», dice Pierluigi Barberini del Centro Studi Internazionali.

Putin non è uno stupido, e lui stesso è ben consapevole che la NATO non rappresenta, e non ha mai rappresentato, una minaccia militare per la Russia. Micheal McFaul, professore di Studi internazionali a Stanford e ambasciatore americano a Mosca dal 2012 al 2014, in un articolo sulla rivista accademica Journal of Democracy ha raccolto tantissime dichiarazioni rilasciate da Yeltsin, Putin e Medvedev – tutti e tre Presidenti della Federazione Russia negli ultimi trent’anni – tra la fine degli anni Novanta e primi anni Duemila in cui ammettono la sostanziale irrilevanza della NATO per la sicurezza russa. Si va da «stiamo costruendo i meccanismi per le consultazioni e la cooperazione tra la Russia e l’Alleanza», passando per «la Russia è parte della cultura europea. Perché non dovrebbe entrare nella NATO?», fino ad arrivare all’eclatante «non siamo nella posizione di dire ai paesi Baltici cosa devono fare. Non possiamo impedire loro di fare queste scelte se vogliono aumentare la propria sicurezza [in riferimento all’ingresso, nel 2002, di Lettonia, Estonia e Lituania all’interno dell’Alleanza, ndr]».

Ucraina e NATO
«La battuta», avverte Andrea Graziosi, professore di Storia contemporanea all’Università di Napoli Federico II e grande esperto di storia sovietica, «è che se Putin avesse avuto paura della NATO non avrebbe invaso l’Ucraina. L’ha fatto perché la disprezzava e perché era convinto che da parte nostra non ci sarebbe stata reazione militare». Certo, una reazione c’è stata, che si è però limitata alle sanzioni economiche e all’invio di armi in Ucraina. E d’altronde non avrebbe potuto essere altrimenti: nessuno può credere che la Russia temesse una nostra offensiva sui propri confini, che avrebbe probabilmente scatenato una guerra atomica e la fine del mondo per come lo conosciamo.

Non si può nemmeno affermare, poi, che Putin fosse infastidito da un possibile futuro ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza atlantica. Nonostante le sue legittime aspirazioni, non era prevista nessuna procedura nel medio periodo. Sì, è vero, con gli accordi di Bucarest del 2008 la NATO le aveva promesso che un giorno sarebbe potuta entrare, ma si trattava comunque di un impegno vago e senza scadenze, che non aveva dato il via ad alcuna pratica burocratica, e che peraltro era stato voluto dal solo Presidente americano George W. Bush, sotto gli occhi scettici e increduli degli altri paesi membri, Francia e Germania soprattutto. «Questa non è una questione che probabilmente incontreremo finché siamo in carica. Non so quanto il presidente Putin intenda stare in carica. Ho l’impressione che sarà a lungo», aveva ammesso il cancelliere tedesco Olaf Scholz, parlando dell’entrata dell’Ucraina nell’Alleanza durante una visita a Mosca il 15 febbraio 2022.

Qual è il problema, allora?
Sarà più chiaro, adesso, che questa storia delle responsabilità occidentali è un’arma che Putin usa strumentalmente per mostrarsi vittima agli occhi del proprio popolo, ma anche per fare breccia in quell’opinione pubblica occidentale appartenente sia alla sinistra pacifista e radicale sia alla destra sovranista e ultra-nazionalista: schieramenti, questi, che, seppur con obiettivi differenti, hanno entrambi costruito gran parte della loro identità nella demonizzazione perpetua degli Stati Uniti, della NATO “guerrafondaia”, della globalizzazione e del liberalismo.

L’unica responsabilità occidentale, se proprio vogliamo trovarla, è stata quella di diffondere le libertà fondamentali e di accelerare i processi democratici nei paesi che confinano con la Russia, Ucraina in primis, che Putin vede, in un’ottica storica semplificata e distorta, come parte del Russkij Mir, il “mondo russo”. Il punto, allora, è che lui è terrorizzato da un’Ucraina indipendente, legata all’occidente, all’Unione europea e a tutti i valori che ne derivano, che potrebbero minare la stabilità di un totalitarismo minaccioso e fascista. 

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