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“Mascolinità tossica”, cos’è e come riconoscerla

Con il termine “mascolinità tossica” si intende l’insieme delle regole sociali che spingono gli uomini a sopprimere le proprie emozioni, mascherare la tristezza e usare la violenza come indicatore di potere. La mascolinità tossica è uno degli effetti di una società patriarcale che, oltre alle donne, colpisce gli uomini stessi. Per chiarirne le cause e gli effetti abbiamo realizzato un articolo in collaborazione con Bossy, associazione che si occupa di informazione e femminismo intersezionale, per cercare di fare luce su questo fenomeno per chi ancora non lo conosce, o meglio, lo conosce, ma non sa dargli un nome. 

 

Come si manifesta la mascolinità tossica?

Quando si risponde a richieste sociali che cercano di far coincidere il concetto di “essere uomini” a caratteristiche quali il rifiuto dell’emotività, l’aggressività, la rivalità, la prevaricazione, lo sbilanciamento del potere all’interno delle relazioni si sta mettendo in atto la mascolinità tossica. L’aspettativa sociale nei confronti dell’uomo prevede che egli reprima le proprie emozioni, nasconda sentimenti come la tristezza o la paura, si mostri sempre forte e spavaldo e sia violento (verbalmente e fisicamente). 

 

Come si può imparare a riconoscerla in sé stessi e negli altri?

 Quando un uomo asseconda queste aspettative mette in atto pratiche di mascolinità tossica, e per riconoscerla ci vuole sicuramente un’attenta e sincera analisi dei propri comportamenti e la volontà di mettere in discussione delle regole non scritte che condizionano la crescita di molti. Atteggiamenti aggressivi e violenti, tendenza a ignorare i propri sentimenti o a non esprimerli, bisogno di mostrarsi forti e duri agli occhi degli altri sono validi indicatori. La mascolinità tossica delimita i confini dell’uomo e dice come un uomo deve essere (altrimenti non è un “vero uomo”). Se si ha il dubbio di comportarsi in determinate maniere solo per avvicinarsi all’ideale di uomo si può iniziare un processo per uscire da determinati schemi.

 

Come nasce la mascolinità tossica in primo luogo?

Il bambino riceve input che mirano alla creazione delle dinamiche di mascolinità tossica fin dalla più tenera età. Gli viene detto che non deve piangere e non deve “fare la femminuccia” esprimendo il proprio dolore, gli viene richiesto di comportarsi da vero uomo, gli vengono proposti giochi di guerra e viene scoraggiato dal compiere qualsiasi attività che possa essere considerata “femminile”, dalle bambole alla danza. Questo accade non solo in famiglia ma anche nei contesti scolastici e in ogni forma di interazione quotidiana e formativa. Al bambino viene presentata la debolezza, in ogni sua forma, come una colpa intollerabile e una caratteristica non propria dell’uomo. In ambito sportivo i bambini sono spesso spinti a sviluppare una tendenza estrema alla competizione, ad avvicinarsi al modello del vincente, a non mostrare dolore fisico. Queste continue intromissioni nella sua costruzione dell’identità possono avere ripercussioni in tutto l’arco della crescita. Ogni società ha la propria concezione su cosa voglia dire “essere un vero uomo”, influenzata da culture e usanze diverse, tutte però iniziano quest’opera di assoggettamento partendo dall’educazione dei bambini.

 

In che modo la società patriarcale colpisce gli uomini?

La mascolinità tossica pregiudica la creazione di uomini liberi nell’espressione e nella creazione della propria identità. La pressione sociale ad adattarsi a determinati modelli di comportamento condiziona irrimediabilmente gli individui e li allontana dalla propria autodeterminazione. In questo senso, la società patriarcale (che fonda la propria esistenza sulla detenzione del potere da parte degli uomini) fa male prima di tutto agli uomini stessi. Il concetto stesso di virilità è una maschera soffocante che impone agli uomini atteggiamenti e comportamenti che possono essere molto distanti dal loro intimo sentire e dalla loro reale volontà. Intossica, letteralmente, le loro vite e quelle di chi hanno intorno. Molti uomini, educati a trattare con vergogna e rigetto la propria emotività, si trovano a fare i conti con sindromi depressive anche gravi senza che abbiano i mezzi per affrontarle, perché sono stati educati a non chiedere aiuto. Inoltre tutti quegli uomini che non si conformano all’aspettativa richiesta perché non ne posseggono i requisiti di partenza (perché sono disabili, o fisicamente deboli, o hanno un orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità) soffrono per quella che recepiscono come una sconfitta e una mancanza personale.

 

Quali potrebbero essere i “rimedi” a questi comportamenti ?

Educare bambini e ragazzi in maniera differente dai dettami patriarcali è il primo e più grande passo che possiamo compiere. Creare una cultura di educazione sentimentale e affettiva, di liberazione dallo stigma dell’emotività, di confronto e apertura è il modo migliore per far cambiare l’aspetto della società. Agli uomini bisogna consentire di essere se stessi, di essere fragili, di essere emotivi, di essere qualsiasi cosa vogliano essere. Bisogna dirgli che esistono infiniti modi per essere uomini e sono tutti validi e meritevoli dello stesso rispetto. Bisogna mettersi in gioco, nel caso in cui si riconoscano in sé aspetti di mascolinità tossica, e porre in discussione le proprie abitudini e la propria intera esistenza. Chiedendo aiuto, dove necessario, cercando supporto e confronto in realtà sane.

 

E infine, esiste anche un concetto di “femminilità tossica” ?

La cosiddetta “femminilità tossica” altro non è che un diverso aspetto della mascolinità tossica. Nella cultura patriarcale la figura della donna è oggetto delle stesse aspettative di quella dell’uomo: così come l’uomo deve essere forte e impavido, la donna deve essere fragile e indifesa, l’uomo distaccato e la donna emotivamente instabile, l’uomo dedito al lavoro e al guadagno e la donna alla casa e all’accudimento dei figli. Quando la donna interiorizza questa misoginia mette in atto pratiche di comportamento volte ad assicurarsi un posto nella società, una sorta di sopravvivenza. Così la donna può far coincidere la propria esistenza con l’oggettificazione in favore dell’uomo o la propria capacità riproduttiva. Per far funzionare l’equazione anche nell’uomo deve ricercare caratteristiche complementari che giustifichino questo suo ruolo, quindi un uomo privo di sentimenti ed emozioni, che la protegga e sia sempre forte, che abbia tutto il potere economico. Per questo non è corretto parlare di femminilità tossica, in quanto fenomeno trasversale della stessa matrice patriarcale della mascolinità.

Ogni uomo dovrebbe essere libero di esprimere se stesso senza essere ostacolato da uno stigma inutile ed obsoleto. Forzare gli uomini ad incarnare un ideale di forza e di impenetrabilità è dannoso non solo per le persone intorno a loro, ma anche per loro stessi. Deve avvenire un nuovo processo di educazione (o rieducazione), e bisogna far capire ai bambini che non c’è nulla di sbagliato nel mostrare emozioni, che va bene piangere e chiedere aiuto. Bisogna mostrare loro esempi di uomini che non sono oppressi dalle forzature della forza fisica e della “virilità”.  È indispensabile opporsi alle discriminazioni di chi ha un orientamento sessuale diverso dal proprio, o degli uomini disabili, o quelli che non fanno alcuno sport, quelli che non trattano le donne come oggetti sessuali, quelli che non urlano loro per strada, dei papà che decidono di stare a casa, degli uomini che piangono. Vediamo, soprattutto in tv, modelli di uomini molto simili tra loro: violenti, “forti”, affascinanti e pieni di donne. Mostrare certi tipi di uomini e far vedere che le ragazze ne sono attratte, lede sia le donne (che si sentono “in dovere” di essere attratte da uomini “forti e virili”) sia gli uomini (che invece sentono il dovere di incarnare lo stereotipo). Tuttavia, non bisogna far sentire gli uomini in colpa o accusarli, perché, come molti dei comportamenti umani, questi vengono dall’educazione. 

C’è un’espressione inglese, che in italiano è traducibile con “i ragazzi sono ragazzi”(“boys will be boys”). Con questa frase si giustificano i comportamenti di rabbia e violenza col fatto che i ragazzi sono fatti così e diventeranno inesorabilmente uomini violenti, a prescindere dall’educazione che ricevono. 

Boys won’t be boys. Boys will be what we teach them to be

I ragazzi non saranno uomini violenti, saranno chi insegneremo loro essere

Ben Hurst

Fonti 

Articolo New York Times:  https://www.nytimes.com/2019/01/22/us/toxic-masculinity.html

TEDx Talks, Ben Hurst:  https://www.youtube.com/watch?v=3dp08bAUwi8

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