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La resistenza ucraina è una lotta per la pace

È fin dai primi giorni di guerra che nel nostro paese serpeggia l’opinione secondo cui noi cittadini ispirati da valori democratici per ottenere realmente la pace dovremmo smetterla di supportare la resistenza ucraina. A chi lo sostiene poco importa se in questa circostanza vi sono, in maniera chiara e inequivocabile, un aggressore e un aggredito. La guerra è guerra, e va ripudiata sempre, dicono.

Ecco, tale punto di vista potrà anche essere definito “pacifista”, ma se vogliamo davvero mantenere la nostra condizione privilegiata — quella che consiste proprio nel fare una vita tranquilla, nell’ambito della nonviolenza — è necessario accettare il contrario. La violenza non si combatte con l’indifferenza, né con la retorica, ma a colpi di azioni concrete e, spesso, anche con le armi. E per questo è essenziale sostenere la resistenza ucraina.

Il 24 febbraio il popolo ucraino, ritrovatosi con l’esercito russo nelle proprie strade, ha fatto una scelta: lottare per liberarsi dall’oppressore. Da allora, giorno dopo giorno, milioni di cittadini hanno continuato ad armarsi, mettendo in gioco le proprie vite per difendere la loro libertà e quella dei propri cari. Questa coraggiosa scelta è stata motivata dalla consapevolezza che l’alternativa fosse una sola: arrendersi e accettare di vivere sotto una dittatura. Alla luce di questa evidenza, le ragioni per cui le persone di tutto il mondo dovrebbero avere il coraggio di prendere posizione in favore della resistenza ucraina sono sia di carattere morale che pratico. Le prime sono evidenti. La guerra è scaturita da un’aggressione ingiustificabile ordinata dal dittatore russo Vladimir Putin: solidarizzare con gli ucraini, vittime di questa vicenda, è il minimo che un essere umano possa fare.

Sulle ragioni pratiche, il discorso è più complesso. In molti, tra chi vive in paesi sviluppati ed è abituato al benessere, hanno paura di essere coinvolti da questa guerra e, pur ammettendo l’indubbia responsabilità di Putin, rifiutano di schierarsi nettamente a favore della resistenza, escludendo, ad esempio, di appoggiare l’invio di armamenti in Ucraina. La paura di finire sotto le bombe è lecita, eppure far finta di niente sarebbe una mossa miope, oltre che ipocrita.

Se il conflitto finisse con la vittoria dell’invasore, il Cremlino avrebbe dimostrato ai violenti di tutto il mondo che ancora oggi la logica della guerra paga. L’unico modo per scongiurare un esito simile è fare in modo che questo conflitto finisca col maggior costo umano e materiale per la Russia. E ciò richiede di fare pressione sui governi occidentali affinché armino gli ucraini. Non si tratta di mandare a morire migliaia di persone — chi lo sostiene pensa forse che, se oggi gli ucraini si arrendessero, i russi davvero smetterebbero di compiere stupri, massacri e torture? Si tratta di supportare la legittima difesa di un popolo aggredito che chiede aiuto.

Chi odia la violenza sa che cosa deve fare. Chi non tollera l’arroganza, la prepotenza, la sopraffazione sa da che parte schierarsi. Ci sono un aggredito e un aggressore: non si può essere equidistanti, né rifiutarsi di agire nel nome della complessità. Chi odia la violenza non si può piegare di fronte a chi si dimostra il più violento degli oppressori.

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