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“It’s going to be America First”


Una  leggera pioggia bagna Washington mentre il quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d’America arriva davanti al microfono per fare il suo primo discorso alla nazione; alle sue spalle il Campidoglio, davanti a lui una platea affatto numerosa composta al 98% da uomini e donne bianche.
Donald Trump inizia il suo inauguration speech ringraziando il Giudice Capo della Corte Suprema Roberts, i presidenti Carter, Clinton, Bush e Obama, tutti coloro che da ogni parte del mondo l’hanno sostenuto e il popolo americano, che a partire da oggi, dovrà fare un “grande sforzo nazionale” per ricostruire il proprio paese.
I sedici minuti che seguono tale affermazione, Trump li spende a rassicurare la sua platea che renderà l’America un posto migliore. Incentra la prima parte del suo discorso sull’importanza di riportare a casa i militari, che sono da anni fuori dalla nazione per proteggere i confini di altri paesi, poiché d’ora in poi, l’unico confine che dovranno proteggere sarà il proprio.
“Saremo protetti dai nostri uomini e dalle nostre donne militari e, cosa più importante, saremo protetti da Dio”, dice subito dopo aver affermato che si impegnerà al massimo per distruggere completamente il terrorismo islamico, ribadendo – e ripetendo – ancora una volta il concetto di protezione, parola chiave del suo discorso.
“Il 20 gennaio 2017 sarà ricordato come il giorno in cui il popolo tornò ad essere colui che comanda” è un’altra delle frasi cardine di quella che è una vera e propria orazione, accompagnata da eloquenti gesti che ormai sono caratteristici del suo personaggio.
Il messaggio chiaro che Donald Trump vuole trasmettere è che questo è il momento per gli Stati Uniti d’America di pensare a loro stessi: “ogni decisione su commercio, tasse, immigrazione e affari esteri sarà presa a vantaggio dei lavoratori e delle famiglie americane, perché in questi anni, le altre nazioni non hanno fatto altro che arricchirsi, producendo i nostri prodotti, rubando le nostre compagnie e distruggendo il nostro lavoro” ed è inevitabile che dopo una frase del genere partano gli applausi.
Il nuovo presidente ridarà lavoro al suo popolo, gliel’ha promesso e gli Stati Uniti d’America saranno grandi di nuovo. Trump non ha esattamente specificato come intenda convincere le multinazionali a riportare le loro fabbriche in patria, dato che non è difficile intuire che non basta tassare la Apple del 35%, per farla tornare a produrre in un paese che ha leggi che tutelano i diritti dei lavoratori.
Tuttavia, per oggi è bello illudersi che una città come Detroit possa tornare a splendere e che “portando indietro il nostro lavoro, le nostre frontiere e la nostra ricchezza, riporteremo anche indietro i nostri sogni”.

Non ho potuto fare a meno di ripensare alle parole della mia professoressa di greco e latino sulla strategia di insediamento dei tiranni nei tempi antichi quando Trump si è dilungato su quante strade e autostrade, quanti tunnel, quanti ponti e quanti aeroporti farà costruire, dando lavoro al popolo scontento che si sente dimenticato e messo da parte a causa delle lotte intestine tra le alte classi sociali e ho onestamente riso quando ho sentito le parole “non importa se siamo neri, marroni o bianchi, sanguiniamo tutti lo stesso sangue rosso”.
Il quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d’America ha chiuso il suo – populista – discorso alla nazione con il suo “we are gonna make America great again” ed è andato a stringere la mano al suo predecessore, davanti ad una Michelle Obama che applaudiva senza accennare il minimo sorriso, e al nuovo vice presidente, Mike Pence, governatore dell’Indiana. Quest’ultimo nel 2015 aveva promosso nella sua giurisdizione una Legge di Libertà Religiosa che permetteva ai proprietari di attività commerciali di agire secondo i principi religiosi, e di vietare l’accesso e il servizio agli omosessuali, anche se poi, a seguito di numerose proteste, era stato approvato un emendamento che vietava la discriminazione.
Sempre nel 2015, Pence aveva approvato una legge restrittiva dell’aborto nello Stato, successivamente bloccata dopo una sentenza del tribunale poiché “violava i diritti costituzionali delle donne”.

Nessuno sa cosa ci si debba veramente aspettare da questa nuova legislatura, ma è ovvio che non dovremo dare nulla per scontato, anche perché vedere, a capo di una delle nazioni più importanti al mondo, due uomini che nel 2017 concordano pubblicamente sul fatto che una donna è meglio che non lavori e stia a casa a crescere i figli, mi fa effettivamente render conto che siamo arrivati al punto in cui si può solo regredire.

It’s going to be America First

di Ginevra Falciani

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Un commento su ““It’s going to be America First”

  1. Crescere i propri figli è una gioia e una soddisfazione cui nessuna donna dovrebbe essere dover rinunciare. Il “lavoro” può attendere!
    Ma poi, perché…crescere i propri figli non è forse un lavoro? e non è forse altrettanto, anzi più, gratificante del “lavoro”? Magari non è retribuito….ma questo è un altro discorso…

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