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Invito alla lettura de “Il gatto lupesco”

Sperimentazione formale e adesione al canone; coordinate spazio-temporali vaghe e particolareggiate; microcosmo individuale inglobato nel macrocosmo della Storia: in gatto lupesco la tensione fra gli opposti si risolve in poesia spesso ammaliante, talvolta respingente.  

Il gatto lupesco è una raccolta di raccolte poetiche scritte da Edoardo Sanguineti fra il 1982 e il 2001. Sono lontani gli anni dell’esordio, segnato da Laborintus (1956), e della neoavanguardia, esplorata nel Gruppo 63, ma la ricerca di forme espressive originali continua a caratterizzare la poetica di Sanguineti. 

A colpo d’occhio risultano visibili la predominanza del verso libero (che spesso fuoriesce dal luogo assegnatogli dall’impaginazione) e l’uso peculiare della punteggiatura. L’abbondanza delle parentesi frammenta il testo, esplicitando solo alcune delle tante direzioni in cui il contenuto è potenzialmente in grado di dirigersi, arricchirsi, capovolgersi. La moltitudine di due punti, presenti soprattutto in explicit, lascia sgomento il lettore, costretto a ricostruire autonomamente i nessi di causa-effetto o le conclusioni. Ad aggiungere ulteriore varietà provvede saltuariamente un impasto di lingue romanze e germaniche. L’aspetto estetico, nonostante incuriosisca, disorienta e quello contenutistico non è facilmente intelligibile: la sintassi è scardinata, giochi fonetici e figure retoriche costruiscono un alto muro da scavalcare, la poesia è disseminata di rimandi e omaggi al panorama letterario. Fortunatamente una sottile ironia pervasiva alleggerisce tale cripticità e rivela che Sanguineti è un brillante provocatore. 

Nella raccolta si trovano anche composizioni in linea con la tradizione (come ottave ariostesche, ballate) e imitazioni da poeti classici e moderni, di cui la maggior parte non inebria il lettore tanto quanto le sperimentazioni – come potrebbe?

Dopo aver rimosso la patina dei tecnicismi retorici ci si potrebbe chiedere cosa rimanga, in fondo, di pregnante. Evito di evidenziare la carica eversiva, la riflessione politica, metapoetica, la sorprendente tenerezza di certe poesie: anche in loro assenza il puro virtuosismo sarebbe più che adatto a giustificare l’esistenza dell’opera.

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