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Intervista a Ubaldo Bocci, ex candidato sindaco di Firenze

Ubaldo Bocci, consulente del colosso finanziario Azimut, è membro del Consiglio comunale di Firenze. Non iscritto a nessun partito, alle scorse amministrative ha raccolto il 25% dei voti sostenuto dal centrodestra.

Signor Bocci, pensa che le misure messe in atto a Firenze e provincia siano state abbastanza tempestive ed efficaci?

«Pur considerando gli eventi straordinari che hanno colpito il mondo gettando nazioni e città in una situazione di emergenza, a mio avviso si poteva fare qualcosa per evitare il caos che si è venuto a creare. Quindi io rimprovero ai miei colleghi amministratori, parlando con tutto rispetto, di non essere stati capaci di guardare al futuro, ma solo al presente non ritenendo evenienze future necessità, come la creazione di mappe puntuali dei condomini grazie alle quali si sarebbero potuto distribuire, in maniera più efficiente, le mascherine. Dobbiamo anche considerare che purtroppo la forza contrattuale a livello economico delle ammirazioni locali è molto limitata e quindi i comuni non sono in grado di fronteggiare un’emergenza tale da soli perché hanno l’obbligo di chiudere il bilancio in pari».

Da fiorentini ci chiediamo se la ripartenza del turismo di massa ci convenga davvero.

«Dire che Firenze sia dei fiorentini significa avere un atteggiamento quanto meno superficiale. Ciò perché, se pensiamo che il 70% dei beni artistici si trova in Italia e probabilmente la metà si trova a Firenze, immaginare che Firenze sia una città dei fiorentini e non del mondo è un’idea un pochino imprecisa. Ovviamente lungi da me il dire che i fiorentini non debbano sentirla propria, dato che essi devono essere i buoni amministratori della città. Detto ciò i fiorentini svolgono un ruolo di custodi e di “prestatori”, dato che devono custodire e condividere la storia e la cultura, pertanto non possiamo mettere i ticket di ingresso per il centro. Allo stesso tempo, però, c’è la necessità, da parte di coloro che si recano a Firenze per usufruire dei suoi beni, di non usare la città come una discarica, se prendiamo come esempio le centinaia di cartacce di Piazza della Signoria. Questo non vuole essere un incentivo per desertificare il centro fiorentino per riempirlo di alberghi e ristoranti, cosa non utile perché costringe gli abitanti ad allontanarvisi per gli affitti troppo elevati, ma una volontà di creare “un nuovo rinascimento fiorentino”, per usare uno slogan della mia campagna elettorale, nel quale ci sia equilibrio tra “il dare” ed “il ricevere” affinché Firenze ed i suoi cittadini possano trarre il massimo vantaggio dal turismo senza rinunciare all’abitabilità o alle loro tradizioni».

Nei prossimi mesi quali provvedimenti saranno presi per far rinascere la nostra città?

«È necessario che non vengano chiuse le piccole/medie aziende; senza di quelle Firenze rischierebbe davvero di essere soltanto una “città-vetrina”. Per evitare che questo accada c’è bisogno di discutere una serie di strumenti fiscali e di accettare che molti finanziamenti saranno a fondo perduto. Di certo non ci si può accontentare di spostare la scadenza delle imposte».

Cambiando discorso: abbiamo notato che non usa molto i social, l’ultimo post su Facebook risale a una settimana fa ed è una lettera a Conte in cui parla del discorso del 10/04.

«Credo che ci siano dei momenti in cui si debba mettere da parte la propria ideologia. Nel momento in cui Conte ha parlato era anche il mio Presidente del Consiglio, ma ho trovato totalmente fuori luogo lo sparare a zero sulla minoranza. Mi sembra che abbia sfruttato l’occasione per evidenziare le cose che ci dividono, quando invece avrebbe dovuto proporre un piano che andasse bene a tutti».

Se i leader dell’opposizione diffondono notizie false il premier ha il diritto di smentirle. Gualtieri non ha mai firmato il MES, perché la Meloni può dire di sì?

«Probabilmente l’uscita della Meloni è stata frutto di qualche voce arrivatale dalla stessa maggioranza. Detto questo, rimane il principio: quello non era il discorso della polemica».

C’è chi dice che, dopo le campagne diffamatorie contro i giornalisti, la conferenza stampa al Papeete e le lodi a Orban, anche Salvini si sia riscoperto garante delle procedure democratiche.

«La Lega amministra da anni alcune regioni del Nord: avete mai sentito parlare di comportamenti antidemocratici?»

Abbiamo visto però le campagne diffamatorie contro i giornalisti, anche quando Salvini era al governo. Degni di memoria sono i post precedenti alla manifestazione in Piazza del Popolo dell’08/12/2018. La Lega trasformò in bersagli per i suoi sostenitori alcuni giornalisti, mettendone le foto accompagnate dalla scritta “Lui/Lei non ci sarà”.

«Sinceramente non ricordo la manifestazione, ma sono sicuro che sia stato un modo politico per dire: questa gente non fa parte della mia gente. Non lo trovo né offensivo né antidemocratico. Pensate alla satira nei confronti di Feltri portata avanti da personaggi come Travaglio».

Un giornalista può mettere alle strette chi vuole: si tratta di democrazia. Se invece a farlo è un politico prende il nome di abuso e intimidazione.

«Un giornalista non può avere privilegi rispetto a qualsiasi altro professionista. Un conto è la censura, un altro è il dissentire. La stampa può criticare il politico, ma il politico ha il diritto di rispondere. Ognuno deve fare bene il proprio lavoro».

Chiudiamo qui la parentesi per fare un passo in avanti, l’ultimo. Vorremmo chiederle una breve consulenza: cosa dovremmo pensare della Lega che prima rifiuta il MES e poi vota contro gli Eurobond? Si è trattato di un abbaglio?

«È fondamentale prima capire le condizioni dell’Eurobond, a cui non sono contrario o favorevole per principio, ma in funzione delle condizioni che offre. Se si rivela essere uno strumento che mi permette di mantenere la mia libertà, la mia identità e la mia autonomia e non mi costringe a dover vendere Piazza della Signoria, allora può andare bene. Il discorso, invece, è diverso se, dopo avermi dato i soldi, devo mettere a pegno Palazzo Vecchio. Il voto di Salvini contro la proposta di legge al Parlamento europeo non nasceva dal diniego agli Eurobond, ma da quello alle condizioni che erano state fatte. Quando i tedeschi fecero il famoso prestito alla Grecia, metà dei soldi che l’Europa prestò ad Atene andarono in armamenti e tecnologie vendute proprio dai tedeschi e dai francesi: queste erano state le condizioni imposte da Germania e Francia. Il discorso non nega l’indispensabilità degli Eurobond: l’Europa deve mettere liquidità nel mercato, ma è necessario metterla con buon senso. Se si ha bisogno di soldi, non per questo si deve volere lo strozzinaggio. Inoltre, la complessità è data anche dal fatto che la trattativa viene condotta davanti a una platea europea che non ha nessuna voglia di darci soldi».

Ma, a parte eurobond sì ed eurobond no, ha lasciato perplessi il fatto che tutta la delegazione italiana, al momento del voto per uno strumento che voleva e per cui aveva condotto delle trattative, si è dimostrata disgregata. Al punto che l’Europa ha dovuto chiederci un po’ di chiarezza.

«La firma ce l’aveva il Governo, non le opposizioni. E al momento della firma, il Governo stesso si è presentato con posizioni diverse: una del M5S, una del PD, una di Italia Viva. Questo indipendentemente dalle opposizioni. Pertanto, è il Governo che deve assumersi le responsabilità».

Intervista a cura di Tommaso Becchi, Laura Calamassi e Luca Schifano

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