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Il Risorgimento: l’Unità d’Italia e i suoi aspetti

 

Com’è vero che il futuro ha radici antiche – motto infatti del nostro liceo – è necessario conoscere il passato, per quanto lontano; soprattutto in tempi come questi che tanti giudicano di svolta.  Ma questa non si propone come una magra sintesi dei valori fondanti della nostra storia contemporanea, tutt’altro: è spunto per una riflessione che, come dev’essere, fa da pendolo tra quel tempo e quest’oggi.

Per non perdere troppo contatto dal presente, ma senza avvicinarsi ai periodi turbolenti del XX secolo, prendiamo per sommi capi la storia dell’Ottocento, quel secolo che in Italia facciamo coincidere col Risorgimento.

Ultimi anni del Settecento: Napoleone a capo dell’esercito francese spazza via gli austriaci dalla Lombardia e anche la Repubblica di Venezia si arrende. È così che occupa l’Italia. Comincia così l’epopea di Napoleone e con essa uno dei capitoli più controversi della storia d’Italia. La campagna d’Italia ci delinea già sommariamente un tratto che persisterà per tutto questo racconto: la soggezione della penisola all’influenza straniera, ed è da essa che infine sarebbe stato necessario liberarsi. Dunque, il giovane generale francese era stato accolto come liberatore e portatore dei valori della rivoluzione francese; la mossa abile fu quella di cavalcare in parte questo spirito, inspirando insurrezioni anti-austriache, ma anche di reprimerlo se eccessivamente ‘rivoluzionario’. Fu così che vennero instaurate le repubbliche Cispadana e Cisalpina, quella Ligure, la repubblica Romana, la repubblica Napoletana. Nessuna durò a lungo senza Napoleone.

I sovrani italiani durante la Restaurazione, il periodo post-napoleonico, cercarono in tutti modi di tornare al passato. I borbonici a Napoli abolirono tutte le disposizioni democratiche e antifeudali; il papa ripristinò il governo ecclesiastico con tutto il suo sistema obsoleto. Un altro passo indietro fu quello di restituire ai gesuiti la gestione dell’istruzione. Tuttavia questa piccola esperienza repubblicana aveva acceso gli animi, e non sarebbe bastato un semplice atto di repressione.

 

La Carboneria fu il movimento che caratterizzò gli anni Venti e Trenta e anche Quaranta. Si trattava di una società segreta rivoluzionaria. Agiva cercando di scatenare insurrezioni, ma proprio la sua segretezza minava il numero di associati: il reclutamento era lento e la diffidenza del popolo non aiutava certamente. Il quadro generale dette alla Carboneria un esito fallimentare dal punto di vista pratico; fu però un punto di slancio per l’ideologia mazziniana.

Dal ’48 l’assetto politico e sociale del Risorgimento cambiò drasticamente. È la volta della prima guerra d’indipendenza, e a combattere l’Austria non furono più solo i rivoluzionari ma anche l’esercito regolare piemontese, con alla mano la dichiarazione di guerra. Tutto cominciò con le Cinque giornate di Milano, in concomitanza con sommosse a Vienna e in altre città europee; il maresciallo austriaco Radetzky lasciò la città  e il Piemonte invase il Lombardo-Veneto. Affluirono da tutta Italia volontari e anche reparti regolari dalla Toscana, dal Regno delle Due Sicilie e sorprendentemente anche dallo stato pontificio di Pio IX. Garibaldi offrì la sua spada a Carlo Alberto di Savoia, accettando il fatto che fosse la monarchia a guidare la lotta per l’indipendenza (Mazzini invece non lo digerì affatto, sperando di “costituire l’Italia in Nazione Una, Indipendente, Libera, Repubblicana”).

Tuttavia questa coalizione ‘nazionale’ si sgretolò ben presto, e la guerra fu persa. 

Nello stesso anno e nel seguente fu tutto un fiorire di repubbliche nella penisola: a Roma si instaurò la Repubblica Romana, guidata da Mazzini e difesa poi vanamente anche da Garibaldi; videro poi la luce la Repubblica di San Marco, sorta a Venezia e un governo repubblicano in Toscana. Furono tutte represse nel sangue, la prima dai francesi, le altre dagli austriaci. 

Seguirono anni di fittissima diplomazia e negoziazioni diplomatiche. La figura di Cavour si inserì qui con autorità: fu lui in quel decennio, dal ‘50 al ‘60, a gestire la complicata politica estera (la guerra di Crimea) e interna (il Connubio, l’accordo tra la sinistra storica di Rattazzi e la destra storica di Cavour) del Piemonte e ad avvicinare il nuovo imperatore dei Francesi Napoleone III. Con gli accordi di Plombières la Francia si impegnava a combattere con i Piemontesi contro l’Austria, mentre il Regno di Sardegna avrebbe ceduto Nizza ー fatto mai perdonato da Garibaldi (che lì era nato) ー e la Savoia, e inoltre avrebbe lasciato che truppe francesi vigilassero sullo Stato pontificio.

 

Camillo Benso, conte di Cavour

 

Si attese con trepidazione la guerra. Gli scontri iniziali furono un successo dopo l’altro, e ciò causò una serie di insurrezioni a Firenze, Parma, Modena, Bologna e Ferrara; furono vinte le battaglie di Solferino e San Martino, ma il numero di caduti fu altissimo. Questo e il timore che le rivoluzioni si espandessero fino a Roma e che si creasse un grande stato italiano fuori dal controllo francese fecero desistere Napoleone III, che siglò l’armistizio: il Piemonte attraverso la Francia acquisì la Lombardia e ottenne che l’Austria perdesse il suo ruolo di “gendarme” d’Italia. In questo modo poté annettere in seguito Toscana ed Emilia.

Tuttavia la delusione per come si era svolta in realtà la guerra, portò sorprendentemente al successo che sarebbe poi sfociato nella spedizione dei Mille. 

Garibaldi, non ostacolato ma neanche appoggiato apertamente, salpò da Genova alla volta della Sicilia, dove da tempo, sin dal ‘49, c’era stato tutto un susseguirsi di moti indipendentisti dal dominio borbonico. Approdato a Marsala dimostrò le sue doti di comandante, sconfiggendo l’esercito napoletano e prendendo Palermo. Si fece eleggere dittatore in nome “dell’Italia e di Vittorio Emanuele”; accolto dalle città in rivolta, sbarcò in Calabria e marciò su Napoli. Qui insieme a Mazzini e a Cattaneo, un altro ideologo dell’Italia unita ma sul modello statunitense di una federazione, convocò un’Assemblea Costituente; questo tentativo repubblicano fu però stroncato dall’arrivo delle truppe piemontesi guidate dallo stesso Vittorio Emanuele: Garibaldi andò incontro al re e gli consegnò il Mezzogiorno.

Il neonato Regno d’Italia si trovò così diviso a metà dallo Stato pontificio, difeso da Napoleone III; inoltre restava da liberare Venezia. Quest’ultima fu ottenuta con la terza guerra d’indipendenza, sebbene gli Austriaci in Italia avessero vinto: infatti nostra alleata era la Prussia che invece schiacciò l’esercito austriaco. Sempre la Prussia fu, indirettamente, causa della conquista di Roma. Durante la guerra franco-prussiana Napoleone III fu sconfitto e catturato a Sedan, e così il papato perse l’unico suo paladino. La breccia di Porta Pia fece il resto.

 

Incontro di Teano: Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele

 

Ora che abbiamo tratteggiato a grandi linee gli eventi chiave nella penisola, possiamo riflettere su cosa contraddistinse davvero il Risorgimento.

È innanzitutto importante sapere e comprendere che tutti i campi e settori dell’economia, della politica, della società contribuirono, nel bene o nel male, al Risorgimento. Come infatti i differenti ceti sociali ebbero una propria parte, così lo ebbe pure ー forse potremmo definirla una causa, forse una conseguenza ー l’influenza straniera nella politica, nell’economia, addirittura negli ideali. L’Italia del Risorgimento era infatti soggetta sempre a potenze straniere: pensiamo banalmente all’Austria, alla Francia, e ai due Napoleone (I e III), al problema controverso del papato, al quale erano legati gli stati cattolici. La rivoluzione industriale, sviluppatasi in Inghilterra, fece capire che la lotta di classe e quella per l’indipendenza poteva anche non essere violenta: vedendo come si erano creati i sindacati in Gran Bretagna, come le moderne tecnologie avrebbero potuto incrementare l’economia.

Un esempio: Cavour. Ancora giovane, Camillo Benso pubblicò sulla “Gazzetta piemontese” un articolo intitolato La strada di ferro da Ciamberì al lago di Bourget e la navigazione a vapore su quel lago e sul Rodano, e in seguito pubblicò in lingua francese Des Chemins de fer en Italie; Cavour cercava di dare l’impulso di un’innovazione tecnologica, una linea politica che sarebbe stata in lui sempre presente.

Durante la prima guerra d’indipendenza si era avverato, seppur parzialmente, quel sogno di unità tanto agognato e descritto dagli intellettuali: Massimo d’Azeglio, per citare un esempio. Primo ministro del Regno di Sardegna appena dopo la prima guerra d’indipendenza, era anche poeta e pittore; celebre tra le opere in versi la Disfida di Barletta, in cui 13 cavalieri italiani di ogni regione combattono 13 francesi (un chiaro messaggio di unità nazionale), e celebre anche il dipinto La battaglia di Legnano.

Bisogna dunque notare quanto l’attività letteraria, artistica e musicale abbiano influito in primo luogo sui moti rivoluzionari e patriottici, e in secondo piano sul quadro internazionale: personaggi come Verdi, Manzoni e D’Azeglio, e altri, da ogni posizione politica e sociale, non si astennero certo dal celebrare i valori della patria, della libertà, dell’unità nazionale, e poi ancora, dell’uguaglianza, del moto rivoluzionario, della lotta di classe addirittura; e non si astennero dal condividere i propri ideali all’estero: era necessario impressionare le nazioni quanto fare pressione sul popolo e sui sovrani d’Italia. E come si nota, questi movimenti erano assai vari, e molto differenti tra loro, indirizzati dagli autori a questo o quel ceto e partito.

Nonostante fossero divisi dalla classe sociale, dagli ideali, dall’opinione politica, i protagonisti dell’Italia risorgimentale cercarono di raggiungere l’obiettivo comune: l’unità e l’indipendenza. Cavour, un aristocratico che parlava meglio il francese dell’italiano, che sosteneva la monarchia piemontese, a cui ripugnava l’insurrezione popolare; Mazzini, un fervente rivoluzionario che tentò in tutti modi di instaurare la repubblica, che credeva nel “Dio e popolo”, che fino alla morte si spese alla causa della democrazia; Garibaldi, un militare che animò con la sua celebre onestà i volontari di tutta Italia, che da anticlericale pronunciò “O Roma o morte”, ma che anche pronunciò il celebre “Obbedisco” durante la terza guerra d’indipendenza. Si può ben dire che questo è lo spirito del Risorgimento: un insieme eterogeneo e controverso di valori che però condusse a un’Italia unita, indipendente e libera.

Infine le contraddizioni: la contraddizione fra un Mezzogiorno latifondista e contadino e un Nord industriale e operaio. La contraddizione di un popolo su tre quarti analfabeta. La contraddizione della rivolta popolare repubblicana e dell’esercito regolare monarchico che insieme portarono alla libertà. La stessa contraddizione che mette il monumento di Mazzini davanti a quello di Vittorio Emanuele, che dà il nome di Cavour e Garibaldi a due vie adiacenti, ma che infine e finalmente unì l’Italia.

 

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