Non dobbiamo smettere di fare rumore.

Sono già circa cento le vittime di femminicidio nel 2024 e oltre 48mila le richieste di aiuto al 1522, numero anti violenza e stalking, con un aumento del 57% rispetto agli ultimi due anni. Sono dati impressionanti che senza dubbio rivelano la gravità e la grandezza dell’emergenza nazionale della violenza sulle donne.
Il 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, istituita nel 1999 dall’ONU, è un’occasione molto importante non solo per ricordare le vittime e sensibilizzare sull’argomento, ma soprattutto per gridare, lottare e arrabbiarsi contro ogni forma di violenza. Essa, però, va combattuta ogni giorno, in ogni circostanza.
La considerazione oggettistica della donna e le battute sessiste sono violenza, gli stereotipi sono violenza, scambiare materiale intimo non consensuale e controllare gli spostamenti sono violenza, le minacce e gli abusi verbali sono violenza, ed infine gli abusi fisici, le violenze sessuali e l’omicidio sono il vertice della piramide della violenza di genere.
Ormai, ogni volta che si perdono notizie di una donna e che non si sa più dove si trovi, ognuna di noi sa già cosa è accaduto, è preparata alla sua vittima di femminicidio e al dolore di essere sconfitte tutte ancora una volta. Si è preparati anche a cosa verrà detto per difendere l’assassino: colpevolizzare la vittima perché una poco di buono, una che aveva altri uomini, una che lo ha ingannato, tradito e portato alle estreme conseguenze.
Tutto ciò continua ad alimentare la cultura del patriarcato e dello stupro. Per ogni femminicida tradito c’è una donna ammazzata, per ogni femminicida umiliato c’è una donna ammazzata, per ogni femminicida esasperato c’è una donna che abita il cimitero.
Nonostante ondate femministe si ribellino alla cultura patriarcale ormai da più di un secolo, le istituzioni continuano a sottovalutarla e a non voler prendere provvedimenti come la semplice educazione all’affettività o alla sessualità, anzi, ogni volta si limitano a ingannarci e ingannare loro stessi dicendo che non è la cultura, non è la nostra società: l’ennesimo femminicidio rimane essere una deviazione dalla norma, un caso eccezionale di una mente malata. Invece non è per niente così, perché colui che ha ucciso una donna, colui che l’ha stuprata, picchiata o molestata è un uomo come tutti gli altri, di cui spesso gli altri uomini non si vergognano, o preferiscono non esprimersi. Per lottare contro il patriarcato, per far sentire a tutti la rabbia delle donne, c’è bisogno dell’aiuto e delle urla di tutti, anche degli uomini. Uomini che non abbiano paura di definirsi femministi, che capiscano finalmente che il femminismo non corrisponde alla supremazia delle donne ma alla parità di genere. Soltanto quando anche loro ci difenderanno dagli abusi, denunceranno con noi e saranno al nostro fianco potremo smettere di dire alle nostre figlie di aver paura degli uomini.
Se alcune violenze sono state impedite o fermate in tempo è soltanto merito dei centri antiviolenza e delle associazioni che si impegnano ogni giorno a salvare la vita delle donne.
In Italia sono 117 i centri che ogni giorno accolgono donne e offrono loro non solo supporto psicologico ed economico, ma anche assistenza legale e accompagnamento al lavoro che permetta loro di riacquistare una vita indipendente. Nessuna donna deve aver paura o vergogna di rivolgersi ad uno di questi, che sono uno strumento fondamentale per difendere i nostri diritti.
Ogni giorno, cara donna, denuncia qualsiasi violenza, aiuta le tue sorelle a lottare, cerca di fare la differenza e non avere paura di cambiare il mondo. Ti diranno “stai zitta”, ma tu vai avanti, ti diranno “sei solo una donna”, ti diranno “non sei all’altezza”, ma tu continua a gridare, continua a lottare per te stessa, per il tuo essere donna, per tutte coloro che hanno perso la vita. Se tutte smetteremo di essere indifferenti anche alle piccole cose, riusciremo a vincere questa battaglia. Non dobbiamo smettere di fare rumore.

A cura di Bianca Braccesi

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