Non sono le MMA ad aver ucciso Willy

 Questo articolo fa parte del numero 23 del MichePost, uscito in formato cartaceo il 30 ottobre 2020


La notte tra il 5 e il 6 settembre è morto Willy Monteiro Duarte. Tratterò dei fatti di due mesi fa premettendo che parlerò di sport, dato che questo articolo è su tale argomento.

La vicenda si è svolta a Colleferro, comune in provincia di Roma. Il giovane ventunenne è stato ucciso in seguito al tentativo di sedare una lite che vedeva coinvolto un suo ex compagno di classe. Una volta avvicinatosi, con intento del tutto pacifico, Willy sarebbe stato pestato senza pietà fino alla morte da quattro ragazzi tra i 22 e i 26 anni. Trasportato poi da un’ambulanza all’ospedale di Colleferro, i medici lo avrebbero dichiarato deceduto. Gli assassini, già noti alle autorità per precedenti di aggressione, terrorizzavano il quartiere con continui pestaggi.

In seguito all’arresto da parte delle forze dell’ordine è emerso che due di loro, i fratelli Gabriele e Mario Bianchi, praticassero MMA (Mixed Martial Arts), uno sport da combattimento. Molti giornalisti non hanno esitato a indicare questo sport come la causa della morte di Willy. “Sport con il culto della violenza” o “sport con la cultura dell’odio” sono solo esempi delle definizioni che hanno dato alle Mixed Martial Arts. Persino il direttore de “La Stampa”, Massimo Giannini, si è espresso in merito a questa disciplina proponendo la più drastica delle soluzioni e forse la meno appropriata, pubblicando un post su Twitter in cui ha scritto: “Vogliamo bandire certe discipline marziali e chiudere le relative palestre? ” Ciò che è successo al povero Willy è orribile e tremendamente ingiusto. Nessuno meriterebbe di morire in quel modo, soprattutto se pensiamo che la giovane vittima stava compiendo il nobile gesto di interrompere un episodio di violenza. Ma trovate sensato puntare il dito su uno sport?

La verità è che le MMA sono uno sport come un altro e, come tali, sono fornite di regole e di un arbitro che salvaguardia la salute dei combattenti in modo da evitare che subiscano danni permanenti. Potrei dilungarmi infinitamente sul fatto che alla base di questo sport viga un principio fondamentale, quello del rispetto, e potrei elencare molti episodi che ne sono una prova, ma preferisco focalizzarmi su altro. Trovo necessario spiegare perché si debba discernere questo sport dalla vicenda di Colleferro. Poiché nelle palestre di MMA si insegna a combattere corpo a corpo, alcuni potrebbero pensare che, parallelamente, si educhi alla violenza. Ma non è così. Il motivo per cui certe persone sono inclini all’aggressività è da ricercarsi nell’educazione ricevuta e nell’ambiente in cui vivono. Non è un segreto che gli assassini del povero Willy fossero vicini a gruppi neofascisti. E fanno ribrezzo le dichiarazioni di un genitore di uno degli assassini: “In fin dei conti cosa hanno fatto? Niente. Hanno solo ucciso un extracomunitario”. Considerando le origini capoverdiane di Willy, il razzismo dei gruppi neofascisti che spesso sfocia in atti di violenza e le dichiarazioni dei genitori, possiamo affermare che la causa scatenante dell’omicidio di Willy non derivi dalle MMA, bensì dall’educazione all’odio data dagli ambienti che frequentano gli assassini.

Le tecniche di combattimento insegnate in palestra sono uno strumento, e il loro insegnamento ha il solo scopo di ottenere un confronto alla pari tra due atleti preparati e consenzienti. Una mente sana non si sognerebbe mai di usare questo strumento per far del male a una persona fuori da una palestra. Sono molti gli atleti di MMA che dichiarano, esternamente alla vicenda, di essere contro la violenza, come il campione tedesco Andreas Kraniotakes, che nel 2018 dichiarò: “Sono sempre contento di vincere, ma mai di fare male all’altro. Ne ho viste tante negli anni, ma non mi è mai capitato di vedere un lottatore soddisfatto di aver fatto del male a qualcuno”. Persone come gli assassini di Colleferro avrebbero commesso atti di violenza con o senza conoscenze tecniche di combattimento. Lo dimostra il fatto che tra i quattro criminali che hanno picchiato la giovane vittima due non fossero atleti di Mixed Martial Arts, ma tutti e quattro provenissero dagli stessi ambienti. È evidente dunque che dovremmo risolvere il problema alla radice e domandarci come mai esistono ancora nel 2020 ambienti e movimenti politici che educano all’odio.

Le MMA, invece, si fondano su un principio fondamentale, oltre a quello già detto del rispetto, che è l’uguaglianza. Ne sono un esempio Amanda Nunes, attuale campionessa mondiale di MMA, ritenuta la più grande lottatrice di sempre, dichiaratamente omosessuale, o Nick Newell, lottatore nato senza un avambraccio che combatte contro normodotati e che ha vinto 16 incontri su 19. Le palestre di MMA molto spesso sono luoghi dove ragazzi che vivono grandi difficoltà trovano un modo sano per sfogarsi, evitando di imboccare brutte strade e imparando il rispetto e l’uguaglianza dell’avversario.

A cura di Matteo Franchi

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